A circa due chilometri da Paestum si trova una piccola necropoli databile circa al VI-IV sec a.C., con al suo interno una singolare tomba dipinta con un’ormai celebre scena: un uomo, il cosiddetto tuffatore, si sta tuffando da un trampolino in mezzo al mare. Già dalla scoperta si parlò di un unicum, perché questo è il solo esempio di pittura greca parietale ad affresco a noi pervenutoci.
La storia della scoperta
La tomba fu rinvenuta durante una campagna di scavo il 3 giugno 1968. Fu portata alla luca dall’archeologo Mario Napoli che iniziò le sue indagini nel 1967, volte ad indagare le diverse necropoli pestane.
Grazie al vasellame del corredo funerario ritrovato all’interno dell’ambiente, ad esempio la lekythos attica a figure nere, due beccucci di ariballi e dei frammenti di carapace di tartaruga, insieme allo stile dell’immagine; gli studiosi hanno proposto come datazione tra il 480-470 a.C. A suffragare questa ipotesi ci sta il fatto che il fenomeno delle tombe dipinte testimonia la presenza di un artigianato locale altamente specializzato che si sviluppa in due tempi: nel secondo quarto del V secolo e nell’ultimo quarto del secolo.
La tomba e la sua decorazione
La sepoltura è di tipo a cassa, costituita da cinque lastre calcaree in travertino intonacate e accuratamente interconnesse con stucco. Il pavimento è costituito da pietra madre, uguale a quella che costituisce il sarcofago. Tutte le pareti si presentano affrescate e ancora oggi ben conservate. Si ravvisa prima un disegno preparatorio che delinea le figure, dopodiché sono state graffiate con punta secca. Dal tratto e dalla cura dei dettagli è possibile dedurre che al lavoro ci fossero almeno due maestri: uno più insicuro dal tratto non maturo, al contrario del secondo più capace nel dare forma e volume alle figure. Quello che ancora oggi stupisce è che un’ambiente del genere fosse dipinto: le poche decorazioni geometriche, o gli zoccoli colorati, i greci li serbavano solamente nelle tombe a camera, in quanto la decorazione poteva essere goduta anche dai famigliari quando accedevano nuovamente nell’ambiente sepolcrale per il riutilizzo; cosa che non poteva accadere con topo di questo tipo.

Le immagini delle lastre murarie riprendono la coeva pittura vascolare rossa ed i modelli ellenistici della tradizione simposiale: sulle pareti lunghe vengono rappresentati uomini inghirlandati intenti a rallegrarsi con altri convitati. Le scene sono quelle di un simposio in cui dieci uomini a torso nudo sono adagiati su triclinari, mentre bevono vino e suonano strumenti musicali come l’aulos o la cetra. Due si scambiano effusioni omoerotiche, un terzo efebo mesce il vino e attinge da bere da un cratere, forse l’anfitrione intrattiene altri invitati; infine due uomini reclinano la testa in un chiaro abbandono estatico musicale. Sul lato ovest un corteo con una bambina incede accompagnato dal suono degli strumenti musicali. Da notare la raffinatezza della realizzazione delle vesti, alcune delle quali rese con trasparenze molto naturalistiche.

La lastra di copertura è quella che ha reso celebre questa sepoltura. Si tratta di un soggetto molto insolito per la pittura greca dell’epoca, nonché realizzato in maniera così astratta che ancora oggi il significato ultimo della figurazione risulta difficilmente decifrabile.
Un giovane uomo nudo è ritratto a mezz’aria mentre si sta tuffando in uno specchio d’acqua da una struttura che parrebbe un trampolino, posto vicino a due alberi dal tronco sinuoso. Lo sfondo completamente bianco amplifica e crea la suggestione di uno spazio illimitato. Quello che la maggior parte degli studiosi pensa è riferibile più all’aspetto simbolico piuttosto che a quello letterale: l’immagine acquisterebbe un significato metafisico se si pensa che il corpo in realtà sia l’anima, e che questa simboleggia uno stato di transizione tra il mondo reale e l’Aldilà. Si è supposto infatti che il defunto appartenesse a qualche culto orfico del tempo, in cui i novizi venivano iniziati a culti e misteri riguardanti i diversi regni ultraterreni. Questa teoria è suffragata anche dal fatto che nella figurazione compaiono ripetutamente il sette e suoi multipli: sette rami, sette corde della lira, quattordici uomini (due volte sette) e sette blocchi che compongono il trampolino.
Per la cultura ebraica e per la dottrina pitagorica-orfica il numero sette significa ciò che si realizza e si compie. L’esistenza si svolgeva in sette cicli e l’ultimo portava alla fine, la migliore che una persona potesse immaginare. Se si spiega il tuffo come l’ingresso nell’Ade al compimento del settimo ciclo di vita, possiamo perciò pensare che l’anima del defunto si lanci dal suo trampolino di pietra – forse proprio il suo sepolcro – per iniziare un nuovo viaggio verso qualcosa di sconosciuto.

Un’altra testimonianza che farebbe pensare al carattere aristocratico del proprietario, è l’importanza che assume la rappresentazione della sfera emotiva nelle immagini, sicuramente ereditata da un sentire più autoctono che greco, questi estranei alla rappresentazione dei sentimenti in campo pittorico.
Tradizione
Quando vennero scoperte queste raffigurazioni, nella comunità scientifica si accesero interessi e speranze data la particolarità del caso. Se da un lato era una scoperta incredibile, dall’altro era un problema capire come inserire questa nuova conoscenza nell’evoluzione della pittura greca, che di per sé non decorava le tombe come prima anticipato. Si è così immaginato che in territorio italico l’influenza etrusca abbia giocato un fattore determinante per la creazione di questo caso. Oltre per la pratica di decorare le tombe, gli Etruschi erano soliti mettere insieme momenti conviviali con significati ultraterreni, si veda ad esempio l’atmosfera delle pitture funerarie etrusche nella Tomba della Caccia e della Pesca nella necropoli etrusca di Tarquinia. Testimonianza quindi di un profondo scambio culturale, nonché artistico, tra le due civiltà stanziate presso il fiume Sele. Il proprietario, perciò, fu a conoscenza della tradizione sepolcrale etrusca campana, ma ritenne opportuno integrare con elementi culturali ed artistici greci, compiendo così quel sincretismo culturale che poteva mancare a livello sociale e politico.