Analizzando i banchetti trecenteschi, al netto delle caratteristiche locali, possiamo notare che la presenza di spezie era una costante. Queste avevano il compito di smorzare o esaltare i sapori delle vivande, in un gioco di contrasti che forse per i palati di oggi non è immediatamente comprensibile: basti pensare che si usava mangiare qualche grano di pepe per poi degustare il vino, immediatamente percepito più dolce.
Manipolatrici quindi della cucina, venivano utilizzate per riequilibrare gli eccessi degli alimenti. Da sfatare dunque la credenza che queste servissero a coprire il cattivo sapore di cibi mal conservati: nessun nobile avrebbe mai accettato di mangiare cibo scadente. Questa teoria ci è confermata anche dal fatto che le spezie venivano aggiunte anche in piatti che non avevano bisogno di essere conservati, come zuppe e minestre. Nel Medioevo, dunque, le spezie erano un vezzo e venivano utilizzate per il loro potere sensoriale.
Le miscele
Quasi mai le spezie venivano utilizzate singolarmente: in cucina era uso miscelarle, polverizzandole con il mortaio. Questi mix potevano essere utilizzati per aromatizzare le pietanze, uniti alla farina degli impasti o per aromatizzare le bevande. Le spezie non venivano quindi utilizzate solo nella preparazione di salse, brodi o carni. La testimonianza dell’Anonimo Veneziano riporta la ricetta di tre diverse miscele:
- Spezie Forti, indicate per gli arrosti di carne;
- Spezie Dolci, da utilizzare nei dessert ma anche col pesce, verdure e torte salate;
- Spezie Fini, adatte a qualsiasi preparazione.
Vale la pena riportare di seguito le istruzioni su come realizzare queste miscele, poiché la proporzione fra le varie spezie era stabilita con precisione all’interno del ricettario:
“Specie negre e forte per fare savore: toy mezo quarto de garofali e do onze de pevere e toy arquanto pevere longo e do noce moscate e fa de tute specie.
Specie dolce per assay cosse bone e fine: Toi uno quarto de garofali e una onza de bon zenzevro e toy una onza de cinamo leto e toy arquanto folio e tute queste specie fay pestare insiema caxa como te piaxe, e se ne vo’ fare piú, toy le cosse a questa medessima raxone et è meravigliosamente bona.
Specie fine a tute cosse: Toi una onza de pevere e una de cinamo e una de zenzevro e mezo quarto de garofali e uno quarto de zaferanno.”
(Anonimo Veneziano – Libro per cuoco – LXXIII, LXXIV, LXXV)
Beni di lusso esotici
Le spezie a quel tempo erano considerate beni pregiati: erano importate dall’Arabia e dall’Oriente ed erano molto costose. Questo le rendeva accessibili solo alle classi agiate, le quali non mancavano di rimarcare la cosa durante gli eventi pubblici. Si pensi che durante il banchetto di nozze di Bonifacio di Canossa, tenutosi a Marengo nei pressi di Mantova, la quantità di spezie utilizzata fu talmente tanta che non vennero utilizzati i mortai per polverizzarle, bensì le macine dei mulini ad acqua. Così Donizone, nella sua opera dedicata a Matilde di Canossa, ci descrive la scena:
“Non ibi pigmenta trintatur, sed quasi spelta ad cursum limphae molendinantur ibiden.”
“Le spezie non eran tritate al mortaio, ma macinate qual spelta ai mulini ad acqua corrente.”
(Donizone – Vita di Matilde di Canossa – Libro I – X, 822-823)
Si può dire quindi che il ruolo fondamentale delle spezie era di natura sociale: queste erano considerate un vero e proprio status symbol e venivano esibite come ostentazione di ricchezza e potere. Estremamente costose, le spezie sono protagoniste di numerosi aneddoti che dimostrano come il loro consumo venisse usato anche a scopo politico, nei rituali diplomatici degli scambi di doni.
Ma ancorare le spezie al ruolo di mero misuratore di ricchezza sarebbe riduttivo: dietro a questi odori e sapori esotici c’era anche la suggestione evocativa delle terre lontane, alimentata dai racconti fantastici (e fantasiosi) dei viaggiatori e dei mercanti. Per comprendere la portata di questo fenomeno riportiamo le parole di Jean de Joinville, Signore di Champagne. Egli si era recato in Egitto in occasione della Prima Crociata e nella sua biografia racconta che:
“Nel luogo dove il Nilo penetra in Egitto, la gente abituata a questo lavoro getta le reti spiegate nel fiume; e quando la mattina le tira su, vi trova derrate preziose che vengono portate nel paese: zenzero, rabarbaro, legno di aloe e cannella. Si dice che queste spezie vengano dal paradiso terrestre. […]”
L’uso digestivo
Particolarmente indicate per il fine pasto, poiché dice ne favorissero la digestione, erano le spezie confettate, ovvero cotte nello zucchero. Anche Platina, un paio di secoli dopo, riporterà nella sua opera gastronomica la buona abitudine di consumare a fine pasto semi di anice e coriandolo, per aiutare la digestione. In un inventario senese del 1291 troviamo un elenco di confetti zuccherini a base di spezie, fra cui il confetto mandriano e il confetto gengiovo. Rimanendo in Toscana, a Pistoia già nel 1397 era attiva l’Antica Spezieria del Vescovado, che vendeva confetti di anice verde e sciroppi aromatizzati alle erbe.