Uno snodo fondamentale della Storia Politica e Militare della repubblica romana è rappresentato dalle vicende che videro come protagonista Gaio Mario.
Di origine certamente non nobile (da cui si può evincere derivino le simpatie di fonti antisenatorie, come il Bellum Iugurthinum Sallustio) egli si inserì nella politica romana grazie alla protezione dell’importante gens dei Metelli. Da homo novus (termine utilizzato in tono dispregiativo da Cicerone ma che simboleggiava tutti coloro che provavano a fare carriera nella cosa pubblica senza avere antenati di rilievo) si affermò definitivamente seguendo come ufficiale Cecilio Metello nel 109 a.C. nella difficile guerra contro Giugurta, re di Numidia, che a lungo ostacolò Roma con azioni di guerriglia, definite dalle fonti latine come insidiae, a cui Cecilio Metello dovette adattarsi per evitare una guerra asimmetrica. Divenuto due anni dopo console e comandante in carica delle legioni che operavano sul territorio africano, Mario diede il via ad un’imponente riforma dell’esercito, sia per affrontar i nemici esterni sia per rafforzare il suo ruolo politico e quello della plebe in generale.
In primo luogo egli decise di rivoluzionare il sistema di reclutamento fino ad allora adottato, che prevedeva la sistematica esclusione dei proletari dalla leva legionaria.
L’utilizzo di persone provenienti dagli strati più bassi della popolazione non era in realtà una novità inaugurata da Mario; casi simili sono attestati dagli storici (Livio, ab urbe condita) anche nei secoli precedenti. In situazioni di estrema emergenza, rappresentate ad esempio dall’invasione annibalica, si procedette al reclutamento di schiavi liberati e di volontari. Le medesime fonti riportano che anche Scipione Africano avesse in parte anticipato il concetto di esercito “personale”, reclutando a proprie spese le legioni in Sicilia che avrebbero dovuto invadere il territorio cartaginese, poiché in patria era fortissima l’opposizione del partito conservatore, guidato da Quinto Fabio Massimo, nei suoi confronti. In seguito Scipione Emiliano nel 134 a.C. era ricorso all’arruolamento di volontari, di cui dovette far parte lo stesso Mario. Nonostante queste premesse la vera differenza con la riforma mariana è rappresentata dalla sistematicità del nuovo sistema di reclutamento: se prima il ricorso a proletari era frutto di esigenze momentanee e situazioni eccezionali con l’avvento di Gaio Mario lo stato romano si attrezzò per renderlo possibile in ogni evenienza, facendo sì che l’onere dell’armamento fosse pubblico. Per permettere ciò la Repubblica iniziò ad armare direttamente i soldati, che dunque non avevano più l’onere di sostenere le spese per il proprio reclutamento. Per il legionario fu previsto anche un salario che veniva integrato dai proventi dei saccheggi (autorizzati dallo ius belli, ovvero dal diritto di guerra) e anche dall’assegnazione di terre ai veterani di guerra, come scoprì anni dopo a sue spese il poeta Virgilio, che perse alcune terre che furono assegnate a veterani delle guerre civili.
Ciò comportò delle innovazioni strutturali delle armi a disposizione, poiché i legionari furono tutti armati nello stesso modo e non più in maniera distinta a seconda della linea di battaglia che prima era rappresentata da astati, principi e triari. L’uniformazione delle dotazioni legionarie fu in verità un processo graduale, già visibile in parte a Zama nel 202 a.C, quando, stando alle fonti, Scipione armò in ugual modo principi e triari, per permettere loro di operare autonomamente sul campo di battaglia.
A partire dall’epoca di Gaio Mario la repubblica forniva dunque al legionario romano un elmo bronzeo, la lorica hamata (una cotta di maglia ad anelli) e il gladium, una spada corta da usare di punta, importata nell’esercito romano dall’Iberia e/o dall’utilizzo che ne facevano i mercenari celtiberi di Annibale durante la seconda guerra punica. Lo scutum era oblungo, fatto di legno e copriva gran parte del corpo e completava l’armamento il pilum, un particolare giavellotto pesante, sostituto dell’arcaica hasta, che tuttavia Gaio Mario modificò notevolmente. Fu infatti aggiunto ai pila un particolare rivetto di legno sotto la punta in ferro che tendeva a danneggiarsi dopo l’impatto, facendo ruotare l’asta e danneggiando il giavellotto, che non poteva più essere utilizzato. Nel caso esso avesse centrato uno scudo la punta in ferro avrebbe penetrato l’oggetto e si sarebbe poi “piegata”, rendendo disagevole l’estrazione del giavellotto e al tempo stesso rendendo impossibile avanzare con un tale peso agganciato allo scudo. Il nemico sarebbe stato quindi costretto a gettare la sua protezione, rimanendo scoperto in vista del corpo a corpo.
Nel nuovo esercito le uniche differenze di armamento riguardavano i centurioni, ovvero gli ufficiali operativi. Essi non avevano solo un ruolo di gestione tattica e disciplinare dell’unità che era loro assegnata, ma dovevano anche dimostrare in prima persone le virtutes marziali che erano richieste al soldato romano. Da ciò quindi si evince perché spesso le fonti romane insistano su episodi di singole sfide e duelli tra i centurioni e personaggi di spicco degli eserciti nemici (apparentemente inutili ai fini dello sviluppo tattico/strategico della battaglia e del conflitto), permettendo al lettore di individuare nel centurione l’incarnazione stessa dell’epitome marziale. A tale scopo il centurione doveva quindi essere ben visibile, portando spesso in battaglia una sorta di mantello, le phalerae, decorazioni militari di colori sgargianti da portare su un’armatura a scaglie, e un elmo con una cresta traversa.
Da un punto di vista tattico l’esercito abbandonò la precedente disposizione, venendo divisa in 10 coorti (che potevano operare autonomamente, aumentando notevolmente la flessibilità della legione) formate da 6 centurie (formate sempre da 80 uomini l’una) per un totale di soldati che rimase costante alle epoche precedenti: 4800 uomini per legione. Furono invece del tutto aboliti i reparti di cavalleria romani, in parte perché fin dai tempi delle guerre puniche Roma aveva iniziato ad affidare tale compito in modo sempre più esclusivo ad alleati e soci, in parte per motivi politici, essendo la cavalleria romana formata da esponenti di famiglie nobili e patrizie, così come i reparti di fanteria leggera, anch’essi da questo momento occupati solamente da truppe alleate.
Da un punto di vista strategico/militare Gaio Mario non sviluppò particolari innovazioni ma la possibilità di avere un esercito fedele e ben addestrato gli consentì di battere in due delicati confronti le popolazioni di Cimbri e Teutoni (102-101 a.C.) che da anni minacciavano da nord Roma, annientandone completamente gli eserciti.
Tuttavia la conseguenza più rilevante fu politica: l’esercito professionista si legava strettamente al proprio condottiero, dalle cui fortune dipendeva la possibilità di arricchimento del soldato in guerra e di ascesa sociale nella politica interna.
Alla lunga ciò indebolì l’autorità senatoriale (un dettaglio questo verosimilmente già considerato da Mario, che fece numerosi arruolamenti di capite censi per avere supporto politico/ clientelare a Roma nelle sue elezioni consolari) e favorirà sempre più l’ascesa di personaggi particolarmente capaci e spregiudicati sia nell’arte militare e politica, fino all’avvento dell’autorità imperiale e, secoli dopo, all’amara constatazione di Tacito, fonte vicina al punto di vista dell’elite conservatrice, di fronte all’ascesa nel 69 d.C. della gens Flavia e delle sue fedeli legioni orientali e illiriche, che Roma e il suo senato erano ridotti ad essere soltanto un premio di guerra, spettatrice del suo stesso destino.