La fonte maestra per la ricostruzione della Storia della Gastronomia è sicuramente il ricettario. Questo nasce proprio con l’intento di fissare in forma scritta le ricette, gli ingredienti e le preparazioni, per tramandarle e diffonderle, affinchè possano essere riproposte.
Storia della Gastronomia Medievale
Se prendiamo il De Re Coquinaria di Apicio come fonte di riferimento della Gastronomia Antica, ci accorgiamo che non c’è continuità storica. Difatti, i primi ricettari medievali si attestano a cavallo fra il XIII e il XIV secolo, lasciando scoperto un lasso temporale di circa 1000 anni. Cosa è successo alla cucina durante questi secoli? Si è forse fermata? Assolutamente no, semplicemente si è affidata all’oralità in un periodo in cui in Europa la scrittura non era molto diffusa.
Il medievista Bruno Laurioux ha sviluppato alcuni studi sulla nascita della scrittura di ricette. Secondo lo storico francese, si assiste alla ripresa della scrittura gastronomica solo nel XIV secolo, quando le professioni legate alla cucina assunsero la dignità già riconosciuta alle arti. Inoltre, anche la prossimità della cucina alla scienza dietetica e al sapere medico, potrebbero aver stimolato positivamente la ripresa della tradizione scritta e della cultura del ricettario.
I primi ricettari
Le prime raccolte di ricette si presentavano prive di dettagli fondamentali per la corretta riproduzione del piatto, come ad esempio tempi di cottura o dosi e proporzioni degli ingredienti, nonché le eventuali sostituzioni possibili. L’assenza di questi dati fa pensare che i destinatari di queste opere fossero a loro volta cuochi o scalchi (organizzatori di banchetti), capaci di interpretare e riproporre la pietanza senza troppe difficoltà. Parziale conferma di questa teoria è possibile riscontrarla nello scritto dell’Anonimo Toscano:
“Per queste cose che dette sono, il discreto cuoco potrà in tutte cose esser edotto, secondo la diversità dei regni; e potrà i mangiari variare e colorare, secondo che a lui parrà.”
(Anonimo Toscano del Trecento – L’arte della cucina in Italia – E. Faccioli)
Questa mancanza di precisione non riguarda solo il contenuto delle ricette, ma anche l’ordine, che non seguiva nessuno schema: nella maggior parte dei manoscritti i vari piatti sono proposti in base ai loro prodotti di base, ma potevano essere raggruppati anche per tipologia di portata, in ordine alfabetico o seguendo l’alternanza grasso/magro.
Che fossero rotoli o volumi cartacei di piccola taglia, il loro formato suggerisce la finalità pratica della loro creazione: i ricettari erano fatti per essere usati nelle cucine.
Scrittori anonimi
Gli autori dei ricettari medievali sono quasi tutti anonimi. Questo fenomeno può dirsi europeo e non riguarda solo il nostro Paese. La lingua volgare nella quale erano scritti, radicava la cucina al territorio al punto che possiamo affermare che è proprio in questo periodo che si assiste alla nascita della cucina regionale. L’ostacolo linguistico non frenava però la circolazione delle ricette, che venivano spesso declinate e adattate ai gusti e agli ingredienti tipici del luogo in cui venivano riproposte.
La finalità pratica dei ricettari li sottopose ad un continuo aggiornamento, con aggiunte e modifiche delle ricette in esso contenute, così da avere un numero cospicuo di manoscritti simili fra loro, ma non uguali. Per questo, gli studiosi hanno classificato i manoscritti in famiglie, in base a criteri comuni. Per quanto riguarda i ricettari medievali italiani possiamo individuare due famiglie: quella del Liber de coquina e quella dei Dodici Ghiotti.
La famiglia del Liber de coquina
Volendo riassumere brevemente le caratteristiche della prima famiglia, possiamo dire che le ricette sono ordinate in base ai prodotti e presentano gastrotoponimi, termine coniato da Alberto Capatti per indicare il legame fra un luogo e una ricetta, che la caratterizza e la rende distinguibile dalle altre. Parmesana, lombarda, apula e trivisano sono solo alcuni dei riferimenti nazionali proposti, affiancati anche da proposte esotiche quali anglicos, theutonico e saracenico.
La famiglia dei Dodici Ghiotti
La famiglia di ricettari che tradizionalmente è conosciuta come dei Dodici Ghiotti, riunisce tutti i manoscritti che riportano appunto dosaggi per 12 commensali, che alcuni studiosi hanno identificato nella brigata spendereccia senese, già protagonista delle terzine infernali dantesche. Dante infatti colloca i 12 in uno dei gironi del suo inferno, come riportato in questo passo:
“[…] la brigata in che disperse / Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda, / e l’Abbagliato suo senno proferse […]”
(Divina Commedia – Inferno – XXIX, 127-9)
Ma Dante non è l’unico autore che parla di questa brigata: la ritroviamo nel Decameron di Boccaccio.
“[…] in diversi luoghi per Firenze si ragunavano insieme i gentili uomini delle contrade e facevano lor brigate di certo numero, guardando di mettervi tali che comportare potessono acconciamente le spese, ed oggi l’uno, doman l’altro, e cosí per ordine, tutti mettevan tavola, ciascuno il suo dì, a tutta la brigata […]”
(Decameron – Sesta Giornata – Novella 9)
Autore del ricettario senese potrebbe essere il cuoco della brigata, ipotesi sicuramente suggestiva ma difficile da affermare con certezza perché priva di conferme storiche. Una cosa però può essere affermata con certezza: a differenza del Liber de coquina e dei manoscritti della sua famiglia, il destinatario finale dei manoscritti dei Dodici Ghiotti è il pubblico borghese. Questo implica una diversa struttura delle ricette: vi troviamo una maggiore precisione nella descrizione di ingredienti e procedimenti, per facilitarne la riproduzione casalinga.
Gli autori noti
Ma il ricettario anonimo non è fortunatamente la sola testimonianze gastronomiche che di ha lasciato il Medioevo: esistono infatti dei trattati di cucina firmati.
Iohannes de Bockenheim, presso la curia papale romana al tempo di Papa Martino V, è l’autore del Registrum Coquine, composto tra il 1431 e il 1435. Sempre inerente alla cucina curiale, non possiamo non citare il Libro de arte coquinaria di Mastro Martino da Como, ricettario compilato intorno al 1450. De honesta voluptat et valetudine di Platina, ovvero Bartolomeo Sacchi, va invece considerato molto più che un libro di ricette: lo stile di vita consigliato trova fondamento in nozioni di dietetica e di igiene alimentare.
A questi testi di dichiarata importanza storica in ambito gastronomico, vanno affiancati anche trattazioni specifiche dei singoli alimenti, come il De fructibus vescendis di Battista Massa d’Argenta o il Summa Lacticinorum di Pantaleone da Cofienza.