All’interno degli studi classici l’omeristica – così viene denominato l’ambito disciplinare dedicato interamente allo studio dei poemi omerici indagati sotto l’aspetto letterario, filologico, linguistico ma pure sociologico, antropologico, geografico e via discorrendo – è sicuramente una delle branche di ricerca più complesse e variegate. Tra le miriadi di spunti che tale ambito può offrire, un argomento particolarmente noto è costituito dalla questione omerica, nome che si conferisce ai numerosissimi quesiti posti dalle opere ascritte tradizionalmente ad Omero e da questa stessa figura, la cui storicità è da sempre oggetto di dispute più o meno aspre.

La questione omerica secondo i grecisti
Molti grecisti amano in proposito citare Fausto Codino, il quale in una delle Introduzioni ad Omero destinata a restare celebre così sintetizzava i pericoli dell’accostarsi alla materia: «il rischio di non riuscire sempre a conservare quella pazienza e quel buon umore che si perdono tanto facilmente quando si scrutano i libri sulla questione omerica».
Riportando il dibattito alle sue origini, importante è evidenziare che l’alone di incertezza riguardante la composizione e l’origine dei poemi, nonché la possibilità di ascriverne interamente la paternità ad Omero, sono interrogativi già degli antichi. Nonostante infatti esistano menzioni esplicite ad Omero già nel VII a.C. da parte di Callino di Efeso ( = Callin. fr. 6 West2) (per la sua opera frammentaria si rimanda a questo articolo), una testimonianza mediata in età imperiale dal retore Claudio Eliano (Varia Historia XIII, 14) ci fornisce importanti notizie rispetto allo stato testuale dei due Poemi; egli riferisce della circolazione separata dei canti che costituiscono l’Iliade e l’Odissea, slegati dunque tra loro, marcando poi un deciso scarto con l’operazione fatta da Licurgo, ovverosia la sutura dei canti nelle opere che tutti noi conosciamo. Questo gesto, compiuto durante il grandioso trasporto dei versi omerici in terra greca da Samo, isola in cui era attiva la gilda rapsodica dei Creofilei, ebbe grande risonanza all’interno della tradizione successiva: si può dire che dopo questa “cucitura” l’Iliade e l’Odissea iniziarono ad avere entità poetica.
Due grandi ateniesi nelle fonti antiche si contendono il merito di aver introdotto l’uso di recitare «continuativamente» i poemi omerici: Solone (secondo lo storico di IV a.C. Dieuchida di Megara, FGrHist 485 F 6, citato in Diogene Laerzio) ed il pisistratide Ipparco (secondo il dialogo pseudo-platonico Hipparcus, 228b4 ΣΩ), entrambi personaggi politici di spicco e non estranei ad intenti propagandistici. Risale all’epoca bizantina la notizia che colloca la redazione unitaria dei poemi omerici nell’ambiente dei Pisistratidi ad opera del poeta orfico Onomacrito di Atene (Giovanni Tzetzes, Prolegomena de comoedia XIa).
A partire dall’età classica saranno numerosissime le figure che si dedicheranno all’esegesi dei poemi omerici, ma è con la grande stagione della filologia alessandrina e pergamena (III-II a.C.) che coincide uno dei periodi fondamentali per la tradizione dei due testi. Lo studio antico dei poemi omerici costituisce uno dei primi momenti di attrito nel mondo erudito; primi pareri discordanti furono espressi da Xenone ed Ellanico, detti οἱ Χωρίζοντες, “i separatori”, i quali non ritenevano omerica l’Odissea, e contro cui Aristarco indirizza una monografia di contenuto polemico, la Πρὸς τὸ Ξένωνος παράδοξον. Le principali motivazioni alla base delle opinioni dei “separatori” consistono nelle differenze stilistiche, linguistiche e strutturali rintracciabili nei due poemi, difformità che sono estremamente evidenti in più punti, e che indussero l’anonimo autore del trattato Sul sublime ad affermare che l’Odissea sarebbe stata scritta da Omero durante la vecchiaia, in virtù del tono più maturo e del carattere maggiormente introspettivo dell’opera.

Il dibattito in età moderna e contemporanea
In età moderna si andava affermando sempre di più la coscienza della tradizione orale alla base dei due grandi poemi giunti sotto il nome di Iliade ed Odissea ed in particolare si può dire che un solco importante fu tracciato in ambiente tedesco da Friedrich August Wolf con i suoi Prolegomena ad Homerum (1795), pubblicati dopo vari studi condotti sull’edizione dell’ottimo Venetus A dell’Iliade, indi del Venetus B, da parte di Jean-Baptiste Gasparde d’Ansse de Villoinson (1788). In particolare Wolf, passando al vaglio i versi dei due poemi, ritenne che l’unità di questi avvenne solo in un secondo momento e che in realtà essi nascessero da canti composti separatamente gli uni dagli altri. L’analisi linguistica si rivelerà fondamentale per riuscire a discernere le varie sezioni ed individuarne la cronologia. Con Wolf nasce la critica analitica, la quale convoglierà il proprio interesse principalmente verso l’Iliade in quanto l’Odissea venne vista da più parti come maggiormente uniforme.
Successivamente, vari apporti si aggiunsero alla critica analitica, spesso andando anche a svalutare i due poemi oggetto di studio, vedendoli come semplici cuciture le cui imperfezioni resterebbero visibili anche al lettore moderno.
Nel panorama dell’omeristica novecentesca una grandiosa novità è rappresentata dal lavoro di Milman Parry nell’ambito dell’oralistica. Lo studioso americano difatti, già a partire dal 1928, aveva individuato un massiccio utilizzo all’interno dei poemi omerici di formule, identificabili come espressioni predefinite e regolarmente impiegate nelle stesse condizioni metriche per rendere una determinata idea essenziale, indi la ricorrenza dei gruppi «nome-epiteto» identificandoli come espedienti utilizzati dal cantore per memorizzare più agevolmente il testo, nonché come preziosi appigli per l’attenzione del pubblico, il quale era chiamato a gestire una grande quantità di informazioni che rischiavano di scivolare via se non debitamente ripetute. Fu però la sua esperienza in Jugoslavia a costituire il punto di svolta; qui, Parry ebbe l’occasione di ascoltare, registrare ed analizzare i poemi della tradizione epica slava cantati dai guslari (bardi), molti dei quali analfabeti, in grado di recitare a memoria canti di lunga e lunghissima estensione – emblematico divenne il caso di Avdo Međedović, in grado di cantare senza interruzione e a memoria un poema di circa 15.000 versi! Pur evidenziando quelle che sono le ovvie differenze tra l’epica slava e l’epos greco, il lavoro di Parry, proseguito dal suo allievo Albert B. Lord, ebbe l’indiscusso merito di gettare maggiore luce sul contesto orale all’interno del quale nacquero e prosperarono i poemi omerici.

La questione omerica ai giorni nostri
Attualmente, il dibattito sulla questione omerica è incarnato da interventi spesso antitetici tra loro, come sono in merito le opinioni di Gregory Nagy – il quale ritiene che i testi continuarono a proliferare oralmente, e quindi furono passibili di ulteriori ampliamenti, fino al 150 a.C., quando si affermarono le prime edizioni alessandrine, lasciando così cadere ogni discussione riguardante una figura o più figure autoriali – e di Martin L. West, il quale analizzò il problema da una prospettiva personale e originale. Egli si avvalse delle opinioni emerse lungo tutto il dibattito precedente e, mediante una meticolosa analisi linguistica e letteraria, arrivò ad affermare che le strutture finali dei poemi omerici non potevano ammettere una semplice sutura di canti preesistenti, e che esse erano inoltre giunte alla loro redazione finale in un momento cronologicamente determinabile, proprio in virtù dell’omogeneità testuale della tradizione successiva – caratteristica non riconducibile ad un’opera circolata troppo a lungo in forma orale. D’altro canto, l’Iliade e l’Odissea presentano strutture narrative e linguistiche davvero differenti, le quali farebbero pensare a due diverse personalità poetiche, definite da West P e Q, senza dubbio impegnate a fare i conti con una ricca tradizione epica a loro precedente e con ogni probabilità molto più estesa rispetto al solo ambito ellenico, conoscenza alla quale possiamo approdare proprio grazie all’interesse profuso da West stesso e da Burkert nello studio dei rapporti tra epica greca arcaica e tradizioni orientali.
All’interno della vexata quaestio inerente la figura di Omero e la composizione dei grandi poemi omerici è forse inopportuno pensare di approdare a certezze monolitiche. Ma, d’altro canto, le straordinarie scoperte avvenute in ambiti quali l’archeologia e la linguistica, che nel corso del Novecento hanno gettato una luce tutta nuova sul mondo nel quale si cantava di Achille e di Odisseo, continuano ad incoraggiare lo studio meticoloso di questi mirabili testi.
