Protagonista di questo articolo è il curioso pluteo in marmo raffigurante la caccia di Meleagro e Atalanta, rinvenuto nell’Anfiteatro campano di S. Maria Capua Vetere e conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, datato all’incirca al II secolo d.C.
Gladiatori in mostra al MANN
Aspettando la grande mostra del MANN dedicata ai Gladiatori, anche noi di StorieParallele vogliamo dare il nostro contributo per valorizzare digitalmente alcune delle opere che verranno esposte nel Museo a partire dal 31 marzo, data ufficiale dell’inaugurazione.
L’esposizione, nata tra la collaborazione dell’Antikenmuseum di Basilea insieme al Parco Archeologico del Colosseo, raccoglierà circa centosessanta opere nel Salone della Meridiana, disposte in un vivace percorso espositivo di sei sezioni che racconterà i gladiatori e le loro armi.
Il mito di Meleagro e Atalanta
Prima di entrare nello specifico del reperto, vogliamo ricordare brevemente la storia dei due personaggi, raccontata da Ovidio nel libro VIII delle Metamorfosi.
Eneo, padre di Meleagro e re di Calidonia, mentre faceva delle offerte agli dei dimenticò di libare Diana, protettrice della regione. Subito la dea furiosa punì il re mandando un enorme cinghiale a devastare l’intera regione. A questo punto per uccidere l’animale si misero a cacciare i più valenti giovani del regno, tra cui Atalanta, che per prima colpì l’orecchio del cinghiale. Questa era la bellissima ragazza amata da Meleagro che ricevette dal suo innamorato, come premio, la pelle e la testa della bestia morta.
Alcuni dei compagni del giovane principe si indispettirono per questo trattamento, decisero perciò di sottrarle con violenza il trofeo, facendo adirare il giovane Meleagro. Questi in un impeto d’ira uccise i suoi zii materni, Plessipo e Tosseo, fratelli della madre Altea.
Alla notizia dell’accaduto la madre, per vendicarsi gettò nel fuoco un prezioso ceppo di legno che teneva in vita il giovane figlio. Infatti, le Tre Parche avevano predetto che la sua vita non sarebbe durata più a lungo del tizzone che sarebbe bruciato in quel momento nel focolare. Fino a quel giorno Altea lo aveva conservato, cambiando idea dopo l’incresciosa morte dei fratelli.

Iconografia del mito
Il mito e la sua conseguente traduzione iconografica furono sempre apprezzati in tutte le epoche, in special modo nel Medioevo e nel Rinascimento. A raccontarcelo bene è Salvator Settis negli atti delle Giornate di studio in ricordo di Giovanni Previtali (“Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, 2000).
Egli prende in considerazione i sarcofagi antichi di Meleagro, a proposito del trasporto del corpo morto dell’eroe: in queste scene Meleagro è circondato da uomini e donne che piangono e si disperano, mentre nella figura dell’eroe si evidenzia un dettaglio, quello del braccio della morte, che pende verso terra a indicare un corpo senza vita, schema a cui la storia dell’arte riserverà un’accoglienza ancora più grande di quella della donna straziata dal dolore. Settis sintetizza la complessa trama che unisce questi sarcofagi antichi ad opere rinascimentali, in particolare al Trasporto di Cristo di Raffaello (Pala Baglioni) nella Galleria Borghese.
Di esempi di questa caccia ce ne sono molti: si possono trovare frammenti di bassorilievi di sarcofago a Palazzo Doria a Roma, oppure altri frammenti al Museo Nazionale di Atene, o ancora dipinti su vasi come il Cratere François a volutte attico del Museo Nazionale di Firenze, reperto archeologico molto noto ritrovato nel 1844, in una tomba etrusca a camera vicino a Chiusi.

Il Mito a Pompei
Nella città campana furono ritrovati due affreschi raffiguranti lo stesso mito, indizio che la storia sopra citata era di gradimento ai romani, ormai completamente ellenizzati.
L’affresco della Casa del Centauro raffigura Meleagro seduto con due lance, mentre guarda Atalanta vestita di un leggero chitone armata di lance e faretra, indizio che la caccia si è conclusa da poco. Ai piedi del principe si trovano due cani, e a destra, quasi a trofeo, la testa del cinghiale appena ucciso. Lo sguardo della ragazza si posa però su due figure armate con spade sulla destra, probabilmente gli zii di Meleagro pronti a defraudarla del premio a lei riservato. La testa dell’animale posta in mezzo ai due gruppi sembra quindi anticipare quello che sarà la chiave di volta dell’intero episodio, che porterà alla conseguente morte del protagonista.

Il pluteo di Meleagro
Il nostro pluteo è iconograficamente più semplice: Meleagro ha in mano una lancia o un tizzone ardente pronto a caricare il cinghiale con l’aiuto del cagnolino e di Atalanta che, con il suo chitone mosso dal vento, è pronta a caricare l’arco e a colpire il grosso cinghiale alla destra del reperto, anch’esso pronto a sferrare l’attacco.
La scena denota una particolare attenzione all’energia e alla vitalità che corpi e panneggi suggeriscono. Dobbiamo ricordare che le scene di caccia erano momenti molto ricercati negli spettacoli gladiatori, anzi, vi erano proprie sezioni dedicate solo ed esclusivamente all’attività venatoria che piacevano molto anche agli imperatori, che si esibivano a bordo di bighe o direttamente dagli spalti, come le fonti ci tramandano.
