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Philippe Daverio, il Cicerone che portò l’arte in televisione

La morte del conosciutissimo e amato critico d’arte Philippe Daverio, da tempo malato di tumore, sembra l’ennesimo scacco matto di questo 2020 tutto da dimenticare. Una morte prematura se si pensa che Daverio aveva appena settant’anni.

Nato a Mulhouse, in Alsazia, da padre italiano e madre alsaziana, dopo gli studi alla Bocconi (compiuti senza però mai laurearsi), apre la sua galleria d’arte a Milano, dedicata soprattutto alle avanguardie. Si fa conoscere al grande pubblico nel 2002 con la trasmissione televisiva Passepartout su Rai3. Collabora con diverse testate giornalistiche (Panorama, Vogue, Avvenire, Il Sole 24 ore…) e pubblica diversi libri d’arte per Rizzoli, tra i quali ricordiamo con piacere Il museo immaginato (bestseller nel 2011), Il secolo lungo della modernità, L’arte in tavola e Il gioco della pittura: capolavori da conservare gelosamente nella propria libreria e sfogliare di tanto in tanto per viaggiare liberamente con il pensiero.

Nel 2016, anno in cui lasciò la cattedra di design industriale all’Università di Palermo, insieme al Corriere della Sera, uscirono piccoli volumi dedicati ai più grandi musei del mondo e personalmente curati da Daverio, che li impreziosì con curiosità e “suggerimenti curiosi per viaggiatori appassionati”, come si legge nella sua introduzione.

Uomo ironico e arguto, nelle interviste e nei suoi programmi, condotti con successo, Daverio sapeva catturare il lettore o lo spettatore con il suo immenso bagaglio culturale ed il piglio schietto, tipico di chi mai nasconde ciò che pensa, anche a costo di pagarne lo scotto.

Di Firenze disse “non la si consideri un touristodromo”, andando ovviamente contro alle lobby di potere, che a mano a mano stavano effettivamente rendendo sempre più la città un covo di ristoranti, negozi omologati e turismo di massa, mordi e fuggi. Daverio, invece, da buon amatore dell’Italia, la considerava un enorme tesoro a cielo aperto, da preservare e custodire con impegno, cosa che emergeva puntualmente dalle sue pubblicazioni (basti citare il Grand Tour per l’Italia a piccoli passi, uscito per Rizzoli un paio di anni fa, dove l’autore con curiosità e meraviglia ripercorreva tutto lo Stivale, secondo una propria classifica di preferenze e priorità).

Personalmente ho conosciuto Daverio grazie a Passepartout; mi ha fatto da subito simpatia per la sua spiccata voglia di non omologarsi alla massa, per il suo modo particolare di parlare (inconfondibile l’erre moscia alsaziana) e per il suo ricercatissimo abbigliamento, fatto di colori accesi ed eleganza di uomo d’altri tempi. Diretto ed intelligente, attuava parallelismi tra culture e tempi diversi, non nascondendone comunque le diversità e analizzando sempre con profondità il nostro travagliato tempo contemporaneo.  Me lo ricordo anche al fianco di Camila Raznovich nella frizzante conduzione de Il borgo dei borghi. Sapeva mettersi in gioco senza alterigia e senza mai far pesare la sua superiorità intellettuale.

Daverio era il Cicerone che tutti noi avremmo voluto come guida nei vicoli delle città, ma soprattutto era un uomo di straordinaria umanità, come se ne trovano sempre meno al giorno d’oggi.

Bibliografia

📖 www.philippedaverio.it/

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a cura di

Caterina Tilli

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