Vi siete mai chiesti cosa facevano i nobili nel Medioevo per passare il tempo? Quali erano quelli che si potevano considerare i loro hobby? In questo articolo tratteremo di giostre, tornei, caccia, giochi e tutti i principali passatempi che praticavano i nobili nel passato. Tutte queste attività servivano essenzialmente per divertirsi ma c’erano anche altri motivi, come la necessità di allenarsi alla guerra e di mostrare le proprie abilità di combattimento nelle competizioni sportive e la propria intelligenza nei giochi di logica e strategia
Sport, hobby e passatempi nel Medioevo
Molto diversa da quella di umili contadini e artigiani, la vita del nobile nel Medioevo era scandita sia dai doveri quotidiani che da diverse distrazioni. Ma cosa facevano queste persone senza TV, internet, videogiochi e social? Per noi è ormai difficile pensare di vivere senza la tecnologia, ma in realtà esistevano ben altri hobby, modi per noi bizzarri e pericolosi per passare il tempo libero, ma che rendevano la vita nel Medioevo non così noiosa come crediamo.
Quando erano liberi da obblighi e preoccupazioni, i signori si dilettavano soprattutto nella caccia, nell’equitazione e nei giochi d’arme. Spesso si organizzavano tornei che potevano durare diversi giorni, accompagnati da sontuosi banchetti durante i quali si esibivano musici e giocolieri. Si praticavano sport che possiamo considerare antenati di quelli moderni, come il calcio, l’hockey o il baseball. Le palle erano fatte di legno, oppure ricavate dalla vescica o dallo stomaco di un animale o di cuoio riempito di stoffa.
Spesso poi ci si ritrovava per raccontare novelle e fare giochi da tavolo. I principali giochi erano:
- il filetto, un gioco che ricorda il tris;
- l’Alquerque, antenato della dama e di altri giochi simili;
- giochi con ossicini e dadi come quella della zara, citato anche da Dante nel Purgatorio e chiamato anche azzara, da cui deriva probabilmente la parola azzardo;
- infine gli scacchi, re indiscusso dei giochi con tavoliere.

Gli scacchi
La prima apparizione ufficiale degli scacchi in Europa fu nel 1008, quando un conte della Catalogna, Ermengol I, lasciò a una chiesa i pezzi da lui posseduti. Nonostante le autorità ecclesiastiche cercassero in tutti i modi di opporsi al gioco per via degli aspetti legati al gioco d’azzardo (inizialmente prevedeva l’uso dei dadi), ebbe un successo rapidissimo. Nel 1061 era ormai diventato uno dei passatempi irrinunciabili dei nobili.
Gli scacchi nacquero in India (oppure in Cina) verso il VI secolo e furono poi assorbiti dagli arabi, che a loro volta diffusero questo gioco in Europa dopo la conquista islamica della Spagna e della Sicilia. Hanno un gran fascino aspetti come i nomi e le mosse dei pezzi: nella versione araba esisteva il firzan, ovvero il visir, ma visto che ricordava fierce, uno dei termini volgari francesi per indicare le dame, divenne la regina.
Oppure il ruck, ovvero il carro, divenne la rocca e poi la torre. L’elefante divenne l’alfiere e così via. Inizialmente il gioco aveva uno svolgimento molto lento: la regina poteva muovere solo di una casella, l’alfiere solo di due, tutti gli altri muovevano come adesso quindi solo la torre poteva compiere dei movimenti abbastanza lunghi.

Scacchi di Venafro – IX/X secolo
Mosaico Pavimentale – Chiesa di San Savino di Piacenza – XI secolo
Scacchi di Carlo Magno – Italia Meridionale – XI secolo
Il torneo medievale
Il torneo medievale era una forma di combattimento di cavalieri nato come gioco guerresco, che aveva come fine l’esercizio all’arte della guerra. Questo tipo di scontro è nato in terra francese intorno all’XI secolo, infatti molte fonti medievali lo chiamano conflitto gallico.I tornei si diffusero in tutta l’Europa ed ebbero un grande sviluppo nel XII secolo. Originariamente prevedevano battaglie collettive che avevano un alto rischio di morte, infatti la violenza che li caratterizzava indusse la chiesa a proibirli, ma senza successo.
Nel XIII secolo, però, si iniziò a distinguere tra tornei con armi à outrance, cioè da battaglia, e armi à plaisance, cioè con lance spuntate e spade senza punta né taglio, per limitare le ferite. La chiesa, grazie alla nuova forma di torneo, cancellò le proibizioni. Ai tornei partecipavano cavalieri ed in generale membri dell’alta aristocrazia europea, compresi i sovrani. Durante gli scontri i partecipanti dovevano comportarsi lealmente, seguendo un codice di comportamento direttamente derivato da quello cavalleresco.
Importantissima era la scelta delle armi da parte dei cavalieri e la cura per i cavalli, sia dal punto di vista dell’addestramento che da quello estetico. L’armamento dell’animale, l’armatura del cavaliere e il suo scudo servivano a proteggerli dai pesanti colpi provenienti dagli avversari, mentre simboli, motti, colori e insegne servivano ad identificare il campione in campo. Infatti sia lo scudo che l’ampia e vistosa gualdrappa di stoffe del cavallo erano decorate con i colori della casata del cavaliere.

La caccia
Nel Medioevo la caccia occupava un posto centrale tra le attività praticate dai giovani dell’aristocrazia. Essa non era solo un divertimento e un modo per procacciarsi del cibo, ma anche una simulazione della guerra. La caccia era alla base dell’educazione dei giovani perché era necessario per loro iniziare ad imparare le tecniche guerresche, in quanto da adulti erano destinati a diventare dei cavalieri.
L’età per iniziare a cacciare era molto precoce, probabilmente già intorno ai 12 anni. La caccia praticata dai Signori si differenziava da quella praticata dai poveri contadini per le tecniche e l’uso di certe armi. I nobili usavano vere e proprie armi e andavano a cavallo, mentre i contadini per cacciare andavano a piedi e usavano reti e trappole per procurarsi cibo e pelli. Il nobile non cacciava per necessità, anche se la selvaggina era uno dei suoi cibi preferiti, che consumava durante i sontuosi banchetti organizzati dopo le battute di caccia.
Le armi utilizzate erano l’arco, la lancia e l’ascia, ma quella prediletta era la spada poiché favoriva uno scontro diretto con gli animali feroci. Gli animali più cacciati erano gli uri, i cervi, gli orsi e i cinghiali. Fedeli collaboratori del signore nella caccia erano il cavallo, il levriero e il falco, veri e propri simboli dello status sociale del cavaliere.

La falconeria
Focalizziamoci ora su un tipo particolare di caccia praticato dai nobili nel Medioevo, cioè la caccia col falcone. Quest’arte si sviluppò maggiormente nel XII secolo, ma esisteva già da tempo (alcune testimonianze riportano immagini di caccia col falcone già all’epoca degli egizi). Di solito venivano utilizzati alcune specie di falchi: i falchi pellegrini, il falco astore e il falco sparviero.
Uno dei personaggi più importanti del medioevo, l’imperatore Federico II di Svevia, era molto affascinato da quest’arte, tanto da scriverci un intero trattato , il De arte venandi cum avibus. Per lui la caccia era sia un momento di svago che un modo per mostrare il suo potere e la sua forza. Egli era una persona molto curiosa e studiò alla perfezione i rapaci usati per quel tipo di caccia, convocando a corte molti prestigiosi falconieri e introducendo nuove tecniche utilizzate fino a quel momento solo dagli arabi, come l’utilizzo del cappuccio. Egli fu il primo ad introdurla in occidente e consisteva nel coprire la testa del falco con un cappuccio quando non era impegnato nella caccia, in modo da non stressare l’animale e rendere il contatto con l’uomo più piacevole.
Prima che l’Imperatore svevo introducesse questo strumento, chiamato chaperon, veniva usata un’altra tecnica: le palpebre dell’uccello venivano cucite e man mano che il livello di addestramento aumentava, il filo veniva allentato. Gli animali addestrati per la caccia non erano allevati in cattività, ma venivano catturati e successivamente addestrati. I falchi venivano adattati anche al ceto sociale; ad esempio, se il proprietario era una persona importante, come l’imperatore, poteva possedere un’aquila reale, mentre gli altri ceti possedevano rapaci meno prestigiosi.

DidatticheParallele: gli autori dell’articolo
Vi è piaciuto questo articolo? Ci credereste se vi dicessimo che non è farina del nostro sacco? Difatti questo approfondimento rientra nel nostro progetto DidatticheParallele, uno spazio virtuale in cui le scuole diventano protagoniste. Ringraziamo gli alunni della 2C dell’Istituto Comprensivo S. Pio V, plesso Bramante, Roma, nonchè autori dell’articolo: Aurora G., Martina B., Susanna S., Andrea P., Leonardo P.