Nell’ambito del ciclo di incontri online tenuti dal Prof. Giacomo Cavillier, questo aperitivo con l’Egittologo si incentra sul tema della musica e danza nell’Egitto faraonico nel loro significato di veicolo di diffusione della cultura e del rito che afferiscono al tempio e al sovrano. Ancora oggi si assiste all’Aida e si può apprezzarne la scenografia ispirata all’Egitto e ai suoi simboli e miti. Le melodie e le danze che accompagnavano le processioni, le preghiere durante le feste religiose e anche gli intrattenimenti a corte costituiscono strumenti essenziali per manifestare la grandezza e la complessità di questa civiltà.
L’Aida: riportare in vita i fasti del passato
Il professor Cavillier inizia la sua trattazione partendo da un’immagine e da una frase molto speciale, un recitativo particolare: ”La fatal pietra sovra me si chiuse” parte della grande scenografia e del testo della famosissima opera lirica Aida, che introduce bene il nostro argomento: la danza e la musica nell’Antico Egitto.
La civiltà egizia saputo profondere una serie di elementi che confluiscono nel loro modus vivendi: la danza, la musica, la ritualità, la preghiera e anche il culto fanno parte di un mondo piuttosto complesso, ma che ha i suoi codici di interpretazione.
Nel momento in cui a Verdi venne commissionata un’opera che dovesse dare lustro alla costruzione del canale di Suez e che doveva, in qualche maniera, rappresentare la grandezza dell’Egitto, sia come civiltà che nella grandiosità della scenografia, e la grandissima epopea dei faraoni, il compositore ha voluto essere il più possibile fedele alle fonti che aveva a disposizione. Infatti ricordiamo ciò che viene detto sulle origini dell’Aida e cioè che le scene saranno basate sulle descrizioni storiche e i costumi disegnati sui modelli dei bassorilievi dell’Alto Egitto.
Tutto ciò anche grazie alla collaborazione fra Giuseppe Verdi e Auguste Mariette che in quel momento è il più grande degli egittologi presenti in Egitto e che sostanzialmente ha fatto i primi scavi in tutto l’Egitto, in modo da avviare la conoscenza globale della civiltà egizia e di tutti i suoi monumenti. Infatti l’Aida, già con la sua scenografia, ripropone, al di là della struttura e della trama, la bellezza e la monumentalità dei templi e dell’architettura egiziana.

Non si può non immaginare l’Aida senza la scenografia tipicamente egiziana dei templi, del coro e di tutto quello che doveva essere quel contesto assolutamente straordinario che l’Antico Egitto aveva prodotto. Nei rilievi dei templi, abbiamo le processioni per gli dei e quindi abbiamo i musici, abbiamo i danzatori, abbiamo coloro che suonano gli strumenti per dare il ritmo alla preghiera, ai canti e questa è una caratteristica che ha già ben evidente la sua monumentalità scenografica e che rispecchia perfettamente quello che sappiamo dei loro usi.
Un’opera che abbia delle scenografie come quelle dell’Aida si qualifica come assolutamente unica, universale, ma anche densa di un simbolismo che ci riporta alla grande epopea storica, culturale e sociale del popolo egizio. Anche le danze,che possano essere impostate su schemi classici, o convogliate su modelli più tipicamente moderni, inevitabilmente in quello scenario tendono sempre a riflettere un mondo particolarmente bello e avvolgente.
Assistere, poi, alla rappresentazione dell’Aida presso i templi di Luxor o Deir el Bahri, è enormemente più suggestivo, proprio perché sembra quasi che quei luoghi, un tempo testimoni di eventi simili, riecheggino di suoni e voci del passato. Infatti gli antichi egiziani sono sempre stati un popolo che amava le feste, ma soprattutto la “teatralità”, la ritualità di manifestazioni e processioni. Un popolo molto religioso, che traeva, però, proprio dalla monumentalità, dalla grandiosità di processioni e festività, che si svolgevano con lo sfondo di templi magnificamente policromi, la sensazione che effettivamente una divinità potesse farsi umana e scendere in aiuto della nazione: il faraone, indiscusso protagonista delle processioni.
Musica e danza in banchetti e feste private
La monumentalità, d’altra parte, è connaturata nelle manifestazioni artistiche e politiche egiziane: basti pensare ai colossi raffiguranti i re, uno fra tutti Ramesse II. Tutto ciò che aveva a che fare con la vita del faraone era “grandioso”, anche i banchetti, ad esempio, pertanto anche la musica doveva mantenersi a livelli elevati. Proprio attraverso questi particolari, dei banchetti o dei festeggiamenti, possiamo intravedere quello che può essere stata anche la vita quotidiana sia dei re, che di coloro che abitavano la Valle del Nilo.
Nella grazia e nella bellezza delle raffigurazioni, come quelle di regine famosissime come Nefertari, nei vivaci colori con cui sono dipinte, troviamo l’eco dei colori del paesaggio egiziano; che possiede anche una sua naturale musicalità: il suono delle acque del Nilo che scorrono placide, delle barche che le solcano, si rispecchia nel cristallino suono di un sistro, o nella dolcezza del flauto e dell’arpa. Possiamo solo immaginare l’atmosfera di un banchetto a corte, o nelle sontuose dimore dei nobili di rango elevato, la raffinatezza e l’eleganza degli abiti, i colori accesi degli ambienti il tutto accompagnato da un sottofondo musicale adeguato.
Sin dall’Antico Regno non mancano raffigurazioni che rappresentano balli, o comunque movimenti effettuati in gruppo e cadenzati da un ritmo, dato dal battito delle mani o da strumenti veri e propri, simbolo che la musica ha sempre avuto un ruolo importante della società. La stessa lingua egiziana, ha una certa musicalità, che si può notare molto bene nei versi degli Inni sacri, nelle preghiere agli dèi, dove la scelta delle parole fa sì che non abbiano una sonorità brusca, ma che siano molto musicali.
Purtroppo ad oggi non sono stati rinvenuti spartiti musicali, o qualcosa che possa esservi paragonato, ma, come dicevamo sopra, la cadenza stessa dei versi, la loro musicalità, ci suggerisce l’accompagnamento di strumenti. D’altra parte, nella religione egiziana il concetto di armonia universale è un punto cardine, che viene ribadito proprio nelle preghiere, nei famosi inni che conosciamo (quello ad Aton, ad Amon, Iside ecc.), motivo per cui è naturale che essa venisse riproposta dalla e con la musica. Un’armonia che, poi, era quasi suggerita dall’ambiente che circondava la civiltà egiziana, dal lento scorrere del Nilo.
Rilievi e dipinti funerari
Nelle sepolture dei nobili, nelle loro “case per l’eternità” in cui avrebbero dovuto raffigurare i momenti di massima felicità vissuti, erano rappresentate scene che mostravano le attività della vita quotidiana, sia nei momenti di impegno che in quelli di svago: vediamo perciò il defunto che, sempre accompagnato dai membri della sua famiglia, si reca a pescare, ma lo vediamo anche mentre condivide momenti conviviali, allietati dall’opera di musicisti e musiciste riccamente abbigliati, come si conveniva ad eventi mondani: abiti di lino finemente pieghettato, gioielli e anche il tipico cono di cera profumata che, posto all’apice delle elaborate parrucche, durante la serata si sarebbe sciolto, con il calore delle candele e dell’accesa atmosfera di festa.
Quando invece vengono mostrate figure di danzatrici, oltre a notare l’abilità degli artisti, che le mostrano intente a muoversi a ritmo e a battere le mani, notiamo soprattutto che indossano poco o nulla: possiamo dunque immaginare che i movimenti che dovevano eseguire fossero abbastanza “acrobatici” e mal si sarebbero accordati con abiti troppo stretti o voluminosi. In generale la scena rappresentata comunica allegria, serenità, bellezza e armonia.
Tramite un’altra raffigurazione, il professor Cavillier illustra, poi, quali siano gli strumenti più adoperati: il doppio flauto, una sorta di cetra, un piccolo “banjo” e l’arpa, forse lo strumento che maggiormente permetteva l’espressione di armonia, con le sue tonalità. Notiamo inoltre che talvolta le fanciulle intente a suonare vengono raffigurate in abiti succinti, proprio come le danzatrici, cosa che ci indurrebbe a pensare che esse potessero svolgere, all’occorrenza, entrambi i ruoli. Per fortuna sono stati rinvenuti svariati esemplari sia di arpe che di flauti e altri strumenti, che ci hanno permesso di capire come fossero realizzati e come potessero funzionare.

Per quanto riguarda l’esistenza di scuole dove apprendere l’arte musicale, purtroppo non ne abbiamo notizia, ma è probabile che potesse essere parte degli insegnamenti delle cosiddette “case della vita”, ovvero le scuole di scribi, oppure era un’arte tramandata in seno alla famiglia. Interessante è notare che nella maggior parte dei casi, nelle raffigurazioni, vediamo musiciste donne: il professore ipotizza che possa essere dovuto al fatto che la donna veniva vista come manifestazione di grazia ed eleganza per eccellenza, o magari per una maggiore abilità delle dita sottili e più fine capacità di ascolto. In ogni caso sappiamo bene che nella civiltà egiziana, a differenza di altre culture del mondo antico, la donna aveva un ruolo fondamentale in ogni momento della vita pubblica e privata.
Abbiamo parlato di tombe di nobili, ma anche nelle tombe della Valle dei Re vi sono raffigurazioni inerenti la musica. Ad esempio nella tomba denominata “dell’arpista”, proprio perché compare, un arpista, questa volta maschio, appunto, un sacerdote, come si evince dal capo rasato, che suona in una cerimonia religiosa. La particolarità, qui, è nella forma dell’arpa, che ha, come decorazione, la testa del faraone, con tanto di corona (in una immagine solo quella rossa del Basso Egitto, in un’altra la doppia corona). Un esemplare di arpa quasi identico a questa raffigurazione è conservato nel British Museum.
Soffermiamoci a riflettere anche su di un altro importante aspetto, legato alla musica: la costruzione degli strumenti, che spesso erano riccamente decorati anche con elementi come lapislazzuli o dettagli in oro, che erano decisamente simbolo di grandi possibilità economiche. Innanzitutto bisogna considerare che l’Egitto non è mai stato un grande produttore di legname, e poi quello adatto alla realizzazione di strumenti musicali non è certo comune. Pertanto anche la materia prima andava importata dall’estero, con i costi che ne conseguono, poi ovviamente era necessaria la presenza di artigiani che fossero in grado di costruire strumenti che rispondessero a precisi canoni.
Musica nei templi
Dopo aver esaminato l’ambito funerario, parliamo dell’ambito cultuale, quando e come la musica entrava nei templi. Come si è detto sopra, la musica era parte integrante delle processioni, durante le quali venivano cantati gli inni sacri, e possiamo solo immaginare in che modo la musica si fondesse con le scenografie offerte dai meravigliosi templi policromi. E’ qualcosa nel quale forse siamo facilitati noi italiani, dal momento che il nostro Paese, insieme all’enorme patrimonio culturale e artistico, conserva ancora radicate tradizioni religiose che includono processioni e manifestazioni sacre, che, a distanza di secoli a volte, vengono ancora ripetute e tramandate con cura.
L’importanza delle processioni nell’antico Egitto diventa ancor più evidente dal momento che i templi erano interdetti al popolo: solo i sacerdoti ed il faraone potevano accedervi. Proprio per questo molti momenti del culto avvenivano anche all’esterno, per permettere alla popolazione di esserne partecipe. E le processioni rituali, che si ripetevano in date prefissate, anno dopo anno, non facevano che sottolineare ed enfatizzare la ciclicità insita nella mentalità religiosa egiziana: l’andamento della piena del Nilo, che scandiva le stagioni, la vita rurale e quindi l’ossatura del Paese, suggeriva l’eterno ritorno, la rinascita. Una ciclicità che andava protetta, assicurata, per far sì che il Paese prosperasse, tramite le costanti preghiere e offerte agli dei. E quindi la miscela di colori accesi dei rilievi, l’imponente mole delle colonne e la ritmicità delle musiche, i tamburi, i sistri, i flauti, il fumo dell’incenso creavano, forse, un potente effetto di vita, di energia, con l’enorme profondità dei templi, dai quali partiva la processione della barca del dio, a fare quasi da “cassa di risonanza”.
Musica a palazzo
E arriviamo ora a immaginare quale scenario potesse avere la musica all’interno del palazzo reale, dopo aver visto le case dei nobili, le tombe ed i templi. Naturalmente ciò che accadeva in piccolo durante i banchetti dei nobili, lo dobbiamo pensare enormemente amplificato nel palazzo, ma le finalità erano le stesse: allietare gli ospiti con buon cibo, atmosfera conviviale e allegre melodie e danze. Il tutto proiettato nel grandioso scenario formato dalle sontuose stanze delle dimore faraoniche.
E’ interessante notare come anche nelle scene in cui il re o la regina sono mostrati intenti a fare offerte, al di fuori delle processioni, non manca mai un personaggio che suona il sistro. Questo strumento, di cui sono stati trovati molti esemplari, è legato alla dea Hathor, la cui testa femminile dalle orecchie bovine compare nel punto di giunzione fra il manico e la parte che produce suono. La dea Hathor, il cui nome significa “Il castello di Horus” è una divinità primigenia, molto antica e molto importante, che simboleggiava, appunto, il nutrimento stesso del sovrano ed aveva in sé il concetto di fertilità, di amore e di creazione.

Il sistro accompagnava sempre le manifestazioni religiose, con il suo suono prodotto da bastoncini metallici, in cui erano inseriti dischi altrettanto metallici, che roteavano in una struttura con fori appositi, dotata di impugnatura per poterlo scuotere. La musicalità era così presente nella vita egiziana che probabilmente persino le lamentazioni e i pianti delle prefiche, che accompagnavano le processioni funebri, impersonando idealmente Iside che piange il defunto Osiride, dovevano avere un certo andamento ritmico.
Proprio la caratteristica del sistro, che produce un suono metallico piuttosto forte, che arriva a coprire il suono della voce, del canto, ci fa dedurre che l’accompagnamento musicale di manifestazioni e processioni dovesse essere ben studiato in anticipo, di conseguenza viene rafforzata l’ipotesi di una sorta di scuola, per apprendere le tecniche necessarie per gestire e armonizzare più strumenti e cori.
Al termine di questo excursus, il professore ci ricorda ancora una volta quanto dovesse essere importante e suggestivo tutto l’insieme creato dai templi, illuminati dal caldo sole egiziano, o dalla tremula luce delle torce, dalle melodie ben armonizzate che univano voci e strumenti, ma soprattutto dal paesaggio stesso, che forniva la migliore delle scenografie.
Ti sei perso l’evento live? Niente paura!
Se non hai partecipato al seminario in diretta non preoccuparti, ecco qui la registrazione dell’aperitivo con il Prof. Giacomo Cavillier che tratta del tema della danza e della musica nell’Egitto faraonico.