Il matrimonio (dal latino matrimonium sul modello di patrimonium) è una delle istituzioni fondamentali per la società fin dai tempi più antichi, come si evince dall’etimologia legato al patrimonio e ai beni economici. Nel tempo, l’istituzione ha cambiato i suoi caratteri anche in maniera radicale, ha seguito l’andamento economico e societario, ha da sempre determinato le interazioni sociali tra i sessi e tra le generazioni (si pensi al rapporto genitori-figli), è cambiato di pari passo al sostrato giuridico e legislativo su cui si poggia.
Il concetto matrimoniale nella prima età moderna
Per capire e comprendere le relazioni matrimoniali e le implicazioni economiche che queste avevano nel passato, è necessario analizzare e prendere in considerazione vari tipi di fonti scritte, pubbliche e private ma anche fonti iconografiche. Questi documenti non saranno sicuramente completi e precisi ma ci offrono uno scorcio fondamentale per riuscire a capire le differenze e le analogie tra le classi sociali. Nei secoli le varie fonti sull’argomento si sono ampliate ma fondamentali rimangono quelle ecclesiastiche, soprattutto per il Medioevo e la prima Età Moderna, vista la larga diffusione ed il peso che la cultura cristiana assumerà in Europa proprio in questi anni.
Se nel Medioevo il matrimonio era concepito come uno strumento politico alla stregua di un contratto nell’Età Moderna si è articolato in numerose forme risentendo delle varie correnti religiose e delle diverse correnti culturali e sociali.
Una prima distinzione da fare per lo studio dell’istituzione matrimonio per tutto l’Ancient Regime è quella di dividere i matrimoni d’élite e delle classi borghesi con i matrimoni che avvenivano tra il popolo e la classi meno abbienti, questi ultimi sicuramente meno articolati, sfarzosi ed eclatanti. Studi recenti hanno messo in luce anche le differenze e le assonanze tra i matrimoni cristiani cattolici e protestanti che propri nella prima Età Moderna si andarono definendo.

Sacramento e concubinato
A partire dal Cinquecento si delineò una rottura non solo nell’unità religiosa ma anche nell’unità di riti che caratterizzavano il rapporto con la Chiesa ed il sacro. Con l’evoluzione e la diffusione della rivoluzione protestante ci fu una modifica nei rapporti uomo-donna che si rifletté anche nei riti del matrimonio. Martin Lutero, tracciando le linee giuda della sua nuova confessione, sottolineò il carattere sacramentario del matrimonio, stravolse la gerarchia dei sacramenti mettendo al primo posto per importanza lo stato matrimoniale sopra al celibato e permettendo il matrimonio anche tra chierici in opposizione a quanto la chiesa cattolica aveva da sempre sostenuto.
Questa nuova norma protestante arrivava in un mondo cristiano in cui il concubinato degli uomini di chiesa era già una pratica diffusa, accettata dai fedeli; col tempo venne sempre di più considerato legittimo. La condizione del concubinato era congeniale per le donne la cui reputazione non veniva macchiata dal disonore e anzi acquisivano una certa rispettabilità e potere ma anche per gli uomini, soprattutto per coloro che possedevano territori e poteri potevano garantirne il mantenimento e la continuità della stirpe. Esempio di questa pratica è la situazione che si venne a creare durante il regno pontificio di Rodrigo Borgia: Papa Alessandro VI aveva infatti instaurato durante la sua vita più relazioni da cui aveva avuto anche dei figli legittimi e riconosciuti che avevano ereditato i suoi possedimenti e averi.[1]
Un cambio di rotta fondamentale in ambito cristiano si ebbe con il Concilio di Trento (1545- 1563); i cambiamenti avvennero sia in materia matrimoniale che in materia di concubinato. Per quanto riguarda i matrimoni, avvenne un incremento delle celebrazioni; diventò il sacramento principale, fondamentale per la formazione di una nuova famiglia e per l’unione di patrimoni e famiglie diverse. In ambito ecclesiastico, si impose una moralizzazione dei costumi del clero a discapito del concubinato; la partica da questo momento iniziò ad essere perseguita anche criminalmente, le spose dei preti trattate come prostitute perdono l’aura di rispettabilità che le avevano contraddistinte in passato.
Nei paesi protestanti, invece, la condizione delle prostitute non era legata al loro rapporto con chierici ma era un modo, per le ragazze meno abbienti, di sfuggire ad un matrimonio forzato o ovviare all’abbandono da parte del marito. A seguito della propaganda a favore del matrimonio si assistette ad una diffusa chiusura dei monasteri; molte ragazze furono costrette ad abbandonare le vesti monastiche e sposarsi mentre altre preferirono rimanere protette tra le mura del convento. Questa situazione accentuò ulteriormente il divario uomo-donna andando a favorire una più radicale sottomissione della donna all’uomo, donna che veniva sempre più spesso denigrata e relegata alle faccende domestiche e all’accudimento della prole.
Ovviamente per entrambe le confessioni religiose era importante l’indissolubilità della coppia nonostante rimanessero molti i problemi che spesso inducevano la donna ad interrompere volontariamente il matrimonio non adempiendo ai doveri coniugali. È già da questi anni che possiamo rintracciare le basi per il divorzio nella diffusione dell’annullamento del matrimonio con un patto tra le due parti.

Sesso prima del matrimonio?
Una delle battaglie che, in questi anni, venivano portate avanti dai cristiani cattolici era quella contro la sessualità prematrimoniale. I protestanti perseguivano giuridicamente coloro che avevano avuto rapporti prematrimoniali attraverso provvedimenti ex officio con pene severe che colpivano soprattutto le donne, nonostante l’asprezza delle leggi non riuscirono ad ottenere risultati per tutta la età moderna. Nei paesi cattolici si condannava ogni sorta rapporto tra i due sessi sperando che la confessione, come momento per la riflessione e l’introspezione, li spingesse a confessare. Questo combattimento alla sessualità prematrimoniale era fortemente ostacolato dalla rete di convenzioni mai istituzionalizzate e favorita con un atteggiamento di tolleranza adottato dalle autorità. Le conseguenze però si ripercuotevano soprattutto sulle donne nubili che venivano considerate di facili costumi e dubbia moralità, spesso punite per fornicazione; in caso di gravidanza il loro destino era dubbio ed incerto, spesso deciso in base al credo religioso. Questa battaglia non fu mai vinta del tutto e si affidava al buonsenso delle donne il denunciare l’amante, in caso contrario ne andava di mezzo l’onore della donna e della famiglia.
Ovunque questa situazione era accentuata, complici anche le carestie e le pestilenze che colpivano la popolazione non favorendo le condizioni per la crescita di un bambino. Per arginare questo problema, nei paesi cattolici, fin dal Quattrocento vennero istituiti ospedali in cui le donne nubili potevano partorire in anonimato e reintegrarsi nella comunità. Nei paesi protestanti, dove la pratica dell’abbandono era vietata, erano le parrocchie che si facevano carico dei bambini abbandonati, li mantenevano in vita e davano loro un’istruzione; per questo era sempre viva la volontà di trovare il padre legittimo del bambino, in modo da accollare a lui i costi della crescita altrimenti carico della comunità. In altri casi si rendevano pubbliche le caratteristiche del bambino con la speranza di trovare la madre o la famiglia d’origine, dal momento che l’affidamento del bambino comportava delle responsabilità importanti sia per la parrocchia che lo ospitava che per la comunità.
Ovunque, però, la preoccupazione principale era stata prima quella che il parto giungesse a termine e poi quella che prevedeva la salvaguardia delle anime dei bambini e delle madri. La chiesa cattolica perseguì questo ideale e col tempo si attrezzò prendendo sempre maggiori misure al fine di garantire una remissione dei peccati alle madri, un’adeguata vita ai bambini. Grazie a politiche di reintroduzione delle madri e dei bambini abbandonati nella società sia la religione cattolica che quella protestante furono sempre più vicine in materia matrimoniale. La battaglia contro la clandestinità matrimoniale era stata vinta e la presenza di parroci e testimoni divenne fondamentale in aree urbane per i ceti meno abbienti per garantire una sorta di ufficialità al matrimonio; di pari passo la cerimonia in chiesa iniziò a prendere piede favorendo in tempi ancora più ristretti l’ufficializzazione del matrimonio, si modificò la cerimonia ma permise comunque la sopravvivenza dei vecchi riti con lo spostamento delle cerimonie a casa della sposa o dello sposo. Il matrimonio protestante continuò ad essere un qualcosa di profondamente legato alla religiosità.
Con queste nuove introduzioni e la ritrovata sacralità del rito, le politiche in merito al divorzio si fecero più astringenti; la chiesa cattolica e protestante iniziò ad essere riluttante nel concedere il divorzio ad una fetta molto ampia della popolazione, se non spinti da un motivo importante o da una crisi. Se in ambito matrimoniale abbiamo visto un avvicinamento tra le confessioni religiose, per quanto riguarda il celibato degli ecclesiastici si assistette ad un punto di rottura: per i protestanti fu necessario rivalutare il ruolo della famiglia come fucina devozione e di educazione religiosa, innalzando il ruolo della donna, degna di essere la moglie di un ministro di Dio.

L’evoluzione e la modernizzazione dei rapporti familiari
Con il Seicento ed il Settecento si incomincia a percepire una nuova sensibilità per le forme di espressione dei sentimenti correlata ad una diffusa aspirazione alla felicità individuale favorita dalla rivoluzione industriale, soprattutto in Inghilterra. Crebbe il tasso di alfabetizzazione anche tra il popolo e si diffusero nuovi studi in ambito medico-scientifico che raggiunsero un ventaglio più ampio della popolazione grazie anche alla diffusione della stampa.
L’introduzione, nel Settecento, delle ideologie illuministiche portò ad una lieve ribellione degli uomini nei confronti della patria podestà, le donne iniziarono a prendere parte, seppur timidamente e limitatamente alla classe d’élite, alla vita mondana. Resta costante il leitmotiv del potere patriarcale e maschile sulle donne che ne condizionava le decisioni.
Il rapporto con i figli e il ruolo genitoriale
Durante questi secoli cambiò la concezione del matrimonio ed il rapporto tra genitori e figli. La vita, da un punto di vista medico, si andò migliorando grazie alle scoperte scientifiche e ai progressi della medicina: dopo anni di corsetti, busti e posizioni erette si diffuse la libertà di allevare i bambini “secondo natura”, lasciandoli liberi e senza costrizioni di alcun tipo. Un testo fondamentale per la diffusione di questo argomento fu l’ “Emilio” (1762) un romanzo pedagogico scritto da Rousseau (1712-1778) con l’obiettivo di cambiare le convinzioni in materia di educazione dei bambini e dei ragazzi. Il termine libertà era ricorrente nel testo in relazione al fatto di far scoprire il mondo al bambino e lasciarlo libero nella natura. Questo diffuso ottimismo e questa nuova concezione della libertà del bambino si rispecchiava anche nel modo di approccio delle madri all’allevamento del figlio e all’allattamento materno, altro punto qualificante del nuovo progetto roussoniano[2]. Fino a quel momento, un aspetto peculiare rimasto invariato nella società era la questione dell’allattamento. Era consuetudine, fin dal medioevo, mettere a balia un bambino borghese con una donna della classe popolare, era anche un modo per regolare la demografia in maniera basilare. Il fattore allattamento veniva usato dalla popolazione perché era: per le classi popolari inibente degli ormoni e permetteva di ritardare o limitare eventuali nuove gravidanze; un modo per ritornare ad essere subito fertili e piacenti per le donne borghesi.
Nel Settecento, si registrò una lieve diminuzione del ricorso a balia in seguito alla diffusione degli studi effettuati sul latte materno intorno al 1753[3]. Da studio si capì quale potesse essere una delle cause della mortalità infantile; il latte materno conteneva importanti proteine per proteggere il bambino nei primissimi mesi di vita e l’assenza di allattamento favoriva una debolezza strutturale per il bambino che ne condizionava lo sviluppo. Le nuove scoperte influenzarono le neomamme di tutti i ceti sociali e provocarono un cambiamento profondo nel vivere la maternità. Si innescò un processo che portò ad una riscoperta del ruolo materno permettendo alla società di capire e scoprire i limiti che avevano contadine, operaie e artigiane nel badare ai figli a causa dei lavori estenuanti che dovevano compiere durante il giorno, le condizioni di vita in case sovraffollate, la scarsa igiene diffusa, e l’instabilità economica e sociale. Per poter vedere risultati minimi in questo ambito bisognerà aspettare la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento quando, seppur limitato alle aree urbane, si diffuse un lieve benessere ed un miglioramento delle condizioni igieniche di pari passo allo sviluppo delle industrie.
Da questo periodo in poi si registra, inoltre, una presenza sempre maggiore della figura materna nella vita del figlio, indipendentemente dal vincolo matrimoniale dei genitori, essi acquisirono maggiori diritti e doveri nei confronti della prole a partire dal dovere di prendersene cura indipendentemente dalla loro età e sesso.

L’influenza napoleonica
Un cambiamento ulteriore in materia matrimoniale dal punto di vista giuridico, soprattutto in Francia, è avvenuto con la salita al soglio imperiale di Napoleone Bonaparte nel 1799. Napoleone attuò un ripristino dei valori morali e l’imposizione dell’importanza della famiglia all’interno della società combattendo i facili costumi. Attuò una politica di controllo delle dinamiche matrimoniali imponendo molti limiti nella libertà di divorziare rafforzando, nel mentre, la patria podestà considerata imprescindibile.
In questo periodo il divorzio fu oggetto di attacchi durissimi da parte delle istituzioni, additato come la causa della corruzione morale dilagante si cercò di limitarlo o di far desistere i coniugi nel richiederlo. Naturalmente il divorzio non fu mai eliminato dal codice ma si rimodularono le condizioni favorevoli: le famose sette cause che potevano fungere da “giustificazione” al divorzio furono ridotte a tre, ovvero adulterio, condanna ad una pena infamante, ingiurie o gravi sevizie, e la pratica venne resa complicata.
Sulle dinamiche matrimoniale ricaddero anche le conseguenze di un accrescimento del potere patriarcale sia sulle donne che sugli uomini: si alzò l’età anagrafica necessaria per il consenso genitoriale, fu portata a 25 anni l’età per gli uomini e a 21 per e donne. In caso di dissenso della madre, bastava anche solo il consenso e l’approvazione del padre. Questo apparato di formalità ripristinato garantiva un maggiore rispetto per l’autorità genitoriale, soprattutto per l’autorità paterna. Nel nuovo codice di leggi promulgato dall’imperatore era presente anche un aspetto rivoluzionario: il mantenimento del principio di uguaglianza successoria tra i figli maschi e le figlie femmine. Nonostante alcune incoerenze, il codice napoleonico tentava di ristabilire un certo ordine fondando lo stato sulla famiglia legittima e sull’autorità paterna rimarcando il lignaggio patriarcale e maritale della società.

Com’era quindi concepito il matrimonio in età moderna?
Il matrimonio come noi lo concepiamo oggi è il frutto dell’evoluzione sociale, economica e culturale che è avvenuta nel corso dei secoli, quello che ci insegna lo studio dell’istituzione matrimoniale è che le oscillazioni del fenomeno sono fisiologiche e che spesso ad essi non sono legati i tassi demografici, è quindi il prodotto di una serie di costrutti sociali, culturali, economici e giuridici, un fenomeno complesso che va studiato e analizzato nel contesto socio-culturale.
Note al testo
[1]Daniela Lombardi, Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi, il Mulino, 2008, pag 84 e seg.
[2]Daniela Lombardi, Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi, il Mulino, 2008, pag 174 e seg.
[3]Daniela Lombardi, Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi, il Mulino, 2008, pag 175