Sotto la III dinastia di Ur, l’alluvio basso-mesopotamico visse un periodo economico che può essere definito florido. Nel sud, centri di spicco nel periodo proto-dinastico come Eridu, Uruk e Shuruppak, vedono la loro grandezza sfiorire a favore di altre, quali Umma, Larsa e Isin: il centro di gravità si sposta quindi verso nord.
Grazie alla decadenza delle zone periferiche e degli insediamenti minori, dovute alle incursioni esterne, i centri urbani godettero del moto di accentramento sia della popolazione che della gestione delle terre.
Viene avviata un’imponente opera di ristrutturazione, sia a livello urbanistico (templi e mura) che idrologico (canali), di cui troviamo numerosi riscontri nella documentazione amministrativa.
Alla base di tutto questo sta ovviamente la produzione agricola del paese.
La vera innovazione che possiamo riscontrare è la volontà di razionalizzare e di unificare l’amministrazione economica, al fine di efficientarne la gestione grazie a linee guida omogenee, valide per tutta l’estensione dell’impero.
Questa unificazione si realizza nella centralità templare, vista ancora una volta come unità gestionale di base dell’economia.
Grazie ai testi catastali rinvenuti a Lagash, possiamo analizzare i connotati specifici del settore agricolo, caratterizzato da un organigramma piramidale, che vede alla base i contadini e al vertice una serie di funzionari. L’amministrazione aveva una visione puntuale e aggiornata dei campi lunghi: veniva presa in considerazione tutta una serie di parametri, quali l’incidenza della salinizzazione o la qualità del suolo, che permetteva il calcolo previsionale del raccolto. Non tutta la totalità del paesaggio agrario era centralizzata: una parte delle terre era gestita a livello familiare ed era oggetto di trasmissione ereditaria e di alienazione. Sfortunatamente di queste non esiste traccia documentale che ci permetta di analizzarne la produttività grazie ai rapporti fra semente e raccolto.
L’allevamento bovino era sì fonte di animali da lavoro, ma anche indirizzato alla produzione di latte e derivati, quali burro e formaggio. L’amministrazione componeva e assegnava la mandria e ne calcolava in modo convenzionale la produttività: veniva stabilito il numero di nascite e i quantitativi di latticini producibili in un anno. Nonostante questi fossero calcoli aleatori, l’amministrazione pretendeva i risultati prestabiliti, a prescindere dalla reale situazione.
L’allevamento ovino era indirizzato alla produzione della lana: anche in questo caso venivano stabiliti a priori i parametri di figliazione e mortalità. La lana veniva poi classificata a seconda della qualità per poi essere mandata alla lavorazione.
Nei settori artigianali a manodopera specializzata veniva invece tenuto conto della quantità di materie prime impiegate nella produzione, oltre alle ore di manodopera necessaria per produrre il manufatto.
Diverso ma analogo è il controllo sui mercanti: dotati di un certo quantitativo di merci o argento, dovevano ritornare con merci dal valore equivalente, previsto dal bilancio annuale redatto appositamente per le operazioni di import ed export.