L’ara dedicata alla pace augustea venne scoperta durante il 1568 sotto Palazzo Peretti. I nove grandi blocchi marmorei vennero ritenuti parte dell’arco di Domiziano, e per questo venduti a grandi collezionisti e mecenati.
Parte dei ritrovamenti vennero acquistati dal Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici, altri vennero murati in Villa Medici, altri ancora andarono a finire in Francia. Un pezzo fu usato come lapide commemorativa per il mons. Moggi sepolto nella chiesa del Gesù.
Tutto il grande complesso venne riscoperto durante i lavori di consolidamento di palazzo Fiano nel 1859, dove venne alla luce il basamento, il rilievo di Enea, di Marte e il Lupercale. L’archeologo tedesco Federico Von Dühn nel 1879 capì di che edificio si trattasse, ma solamente le campagne archeologiche del 1903 iniziarono a portare alla luce sistematicamente l’intera struttura del monumento.
Nel 1937, a lavori conclusi, l’archeologo Giuseppe Moretti fu incaricato di assemblare e ricostruire l’intera decorazione, i pezzi venduti vennero quindi riportati a Roma da Firenze ad esclusione di quelli di Villa Medici sui quali si fecero dei calchi.
«Quando tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia […] compiute felicemente le imprese in quelle provincie, il Senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare l’ara della Pace Augusta presso il Campo Marzio e dispose che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero un sacrificio annuale.»
È proprio Augusto a dirci attraverso le sue Res Gestae il perché venne edificato l’edificio. Nel 13 a.C., il Senato decretò di costruire un altare dedicato alla pace, dopo che Augusto ebbe finito di pacificare la Spagna e la Gallia meridionale.
Solamente nel 9 a.C., l’altare venne ufficialmente inaugurato presso il Campo Marzio, a un miglio dal Pomerium, cioè quella linea ove il console rientrando dalla guerra doveva deporre il potere militare per riprendere i poteri civili.
Il monumento rappresenta una delle più efficaci e testimonianze dell’arte augustea, tesa alla celebrazione della Pax romana. Difatti, la parte più importante del monumento sono le ricche decorazioni che si trovano all’interno e all’esterno dell’edificio, atte a testimoniare il sacro potere di Augusto, nonché capaci di celebrare la sua discendenza divina e a promuovere la sua idea di governo. In poche parole, l’iconografia è a tutti gli effetti un vero e proprio manifesto propagandistico.
Le figure detengono la parte più importante del significato politico voluto da Augusto. Sull’esterno, lato principale est, si trovano i bassorilievi col Lupercale, cioè l’immagine che rappresenta la scoperta dei gemelli Romolo e Remo allattati dalla lupa in presenza del dio Marte e del pastore Faustolo, colui che prenderà in adozione i due mitici fondatori dell’Urbe.
Segue poi la scena con il Sacrificio di Enea ai Penati, momento fondamentale dello snodo iconografico in quanto avviene in presenza della dea Venere. Suo figlio Enea sta sacrificando primizie e la scrofa bianca agli dei protettori antichi che si stanno sporgendo dal tempietto posto sulla roccia di sinistra. Alcuni studiosi pensano che dietro ad Enea ci possa essere il figlioletto Ascanio, oppure lo stesso Augusto. Quest’ultimo elemento conferirebbe un significato fondamentale: Augusto si porrebbe in discendenza con i mitici fondatori, nonché proclamerebbe la sua discendenza divina.
Sul pannello della parte opposta orientale campeggia la Personificazione della dea Roma ridotta a pochi frammetti che permettono di riconoscere la figura seduta su una catasta di armi. Vi è poi l’immagine di Saturnia Tellus seduta in trono con due putti e primizie. Essendo un’allegoria complessa il significato più vero ancora ad oggi non si è colto pienamente ma, sapendo essere una divinità legata all’età dell’oro, le due ninfe poggianti rispettivamente su cigni e sul drago marino potrebbero allacciarsi alla pace mantenuta su terra e mare. Essa perciò potrebbe essere Venere Genitrice, o una personificazione dell’Italia, oppure una Pax generica.
Il lato sud vede protagonista una lunga processione che procede verso l’entrata per sacrificare offerte sull’ara. Vi è la parte ufficiale composta da sacerdoti, e l’altra metà composta dalla famiglia imperiale. Tutti i personaggi devono necessariamente essere letti insieme seppur questo corteo non fu quello che si svolse nel 13 a.C. È un corteo ideale perché Augusto non era ancora pontefice massimo, Tiberio e Druso erano in campagna militare nell’Illirico e in Germania, Agrippa poi era già morto. L’ordine di comparsa è quello di discendenza e di eredità al trono. Oltre i littori – lacunosi – si finisce con funzionari e i togati; Augusto è in testa con il capite velato seguito da Agrippa, Gaio Cesare, Giulia Maggiore, Tiberio, Antonia e Germanico.
Il lato nord ha subito profondi rifacimenti e anche qui vede la processione della famiglia imperiale così come sfila sul lato sud.
La parte interna, invece, vede diverse decorazioni quali una riproduzione di una palizzata in legno conclusa con il registro superiore occupato da festoni addobbati da bucrani. L’ara vera e propria si alza su un podio fatto di tre scalini, sul quale si basa a sua volta su un basamento costituito da cinque scalini. Sullo zoccolo vi sono personaggi femminili ed allegorie che rappresentano le regioni dell’impero. Il tutto è circondato da un fregio che rappresenta un sacrificio che si celebrava annualmente con Vestali, il Pontefice Massimo, Camilli e sacerdoti.