La scrittura cuneiforme, durante i suoi tre millenni di utilizzo, fu impiegata da una quindicina di lingue diverse. Alcune delle quali vi aggiunse segni propri decifrati poi autonomamente, mentre la maggior parte utilizzarono i segni e il sillabario sumerico-babilonese, rendendo più facile il lavoro di decifrazione. Di seguito si vuole sintetizzare quelli che sono gli impieghi conosciuti.
La scarsa quantità di testi in eblaita ci impedisce di delineare precisamente questa lingua locale. Ad Ebla sono state rinvenute circa 10.000 tavolette risalenti al tardo periodo protodinastico, alcune anche di grandi dimensioni, ma l’80% del loro contenuto è scritto in sumerico. Nomi, verbi e aggettivi erano presi in prestito dalla lingua sumera, mentre preposizioni, pronomi, congiunzioni e nomi di persona erano in eblaita, nella sua forma sillabica. L’eblaita era una lingua a radice semitica, molto diversa dal sumerico. Alcuni testi lessicali, frutto dell’istruzione scribale, elencano alcuni termini sumerici con il corrispettivo eblaita, dei piccoli dizionari ad uso degli addetti ai lavori.Sfortunatamente, i rinvenimenti di testi scritti in eblaita fonetico sono troppo irrisori per poter comprendere la pronuncia di questa lingua.
Diverso è il caso della lingua elamita, nonostante la sorte comune. L’elamita, una delle tre lingue dell’impero persiano, è riscontrabile prevalentemente nelle iscrizioni su monumenti celebrativi. Si è originata dall’evoluzione di una scrittura pittografica, indicata come protoelamita, presente a Susa in parallelo sincronico con i primi testi sumeri di Uruk. Di essa sappiamo solo che non ha radice semitica e che non ha parentele con nessun’altra lingua del Vicino Oriente. Nonostante la sua decifrazione sia stata relativamente facilitata dalla presenza di iscrizioni trilingui, la conoscenza di questa lingua è molto limitata e ancora decifrata solo parzialmente, a causa del suo ristretto campo di utilizzo. Nell’archivio della corte persiana di Persepoli, infatti, i testi ci testimoniano l’utilizzo dell’aramaico.
Gli scavi di Hugo Winckler su Hattusha, la capitale ittita, portarono alla luce un archivio reale di circa 10.000 tavolette, per la gran parte scritte in lingua ittita. Gli scribi ittiti utilizzavano anche un gran numero di termini babilonesi e sumeri: questa abitudine si è rivelata una buona premessa per la decifrazione della lingua. L’ittita è una lingua indoeuropea e recentemente si è giunti alla conclusione che il suo vero nome doveva essere nesita o nesio.
Da un punto di vista sillabico, nella lingua ittita erano previste solamente vocale + consonante, consonante + vocale e consonante + vocale + consonante.
Il hurrico è la lingua dei popoli hurrici, comparsi nel Vicino Oriente alla fine del III millennio a.C. e che dal 1500 a.C. diedero vita al regno indipendente dei Mitanni. Antenato della lingua urartea, non si hanno notizie di parentele con altre lingue. Alcuni testi in lingua hurrica sono stati rinvenuti a Mari, a Ugarit e negli archivi ittiti di Hattusha.
L’urarteo, lingua imparentata con il hurrico, utilizza il sillabario cuneiforme e la forma assira dei segni. Le iscrizioni urartee giunte sino a noi si trovano principalmente su monumenti in pietra. Sono stati rinvenute anche alcune narrazioni storiche dei re di Urartu, oltre a iscrizioni su elmi, scudi e vasi in metallo che riportano i nomi del cedente e del proprietario e a circa una trentina di tavolette di argilla che documentano alcune transazioni economiche. Il primo a muoversi per la sua decifrazione fu lo studioso irlandese Edward Hincks, a cui si sono succeduti numerosi studiosi sovietici.
È merito di un team di assiriologi francesi la decifrazione dell’ugaritico. Nel giro di un anno Bauer, Dhorme e Virrolleaud riuscirono a delineare tutte le caratteristiche della lingua di Ugarit, un’area archeologica sulla costa siriana. Imparentato con l’ebraico, l’ugaritico contava solo 30 segni, oltre ad un divisore verticale, ed era pienamente alfabetico. La totalità dei segni era impiegata solo nei testi a carattere amministrativo: i testi letterari escludevano l’utilizzo delle ultime tre lettere. Nella campagna di scavo furono rinvenuti numerosi testi di trattazione economica, che furono messi in ombra da alcuni testi mitologici, subito analizzati alla ricerca di paralleli con la Bibbia ebraica. Con tutta probabilità è dall’ugaritico che si sviluppa l’alfabeto di Cipro, Siria, Libano e Palestina.
Il persiano antico fu la scrittura cuneiforme ad essere decifrata per prima. Questo primato può apparire incredibile partendo dall’esigenza di disporre di un gran corpus di testi da analizzare, confronto che non può avere storia con il sumerico e il babilonese. Ciò nonostante, i testi in persiano antico risultarono essere molto più accessibili e di maggiore leggibilità rispetto agli altri, favorendone una decifrazione più snella. Pare che il persiano antico sia stato fortemente voluto dal re achemenide Dario I, per differenziarsi e porsi allo stesso piano dei Re di Babilonia e Assiria. La sua scrittura è stata rinvenuta su numerosi supporti: rilievi rupestri, decorazioni lapidee, tavolette commemorative, su sigilli e vasi. Sfortunatamente il numero di tavolette d’argilla è irrisorio in confronto alla totalità dei ritrovamenti. Il persiano antico conta 36 caratteri, di cui solo 3 vocali (a,i, u), un cuneo obliquo singolo per separare le parole ed alcuni simboli numerici.