L’Incidente di Antiochia è un episodio controverso della Storia del Cristianesimo primitivo, con il confronto tra visioni apostoliche nelle comunità protocristiane.
Le correnti giudaiche e la Legge: una questione aperta

Come ormai la maggior parte degli studiosi concorda, per il cristianesimo delle origini le prime comunità di credenti in Cristo furono probabilmente inquadrate nel contesto religioso e culturale giudaico. La riscoperta dell’ebraicità di Gesù rappresenta ancora oggi, un compito non finito[1] e una corrente di ricerca storiografica su cui gli storici ed esegeti si stanno confrontando. Inoltre, secondo i recenti sviluppi del settore disciplinare, tra III secolo a.C. e il II d.C. vi fu in Palestina il “convivere di una pluralità di gruppi, movimenti e tradizioni di pensiero, in un rapporto dialettico talora anche aspramente polemico ma non separato”[2].
Dobbiamo poi immaginare che vi furono svariati “gruppi di trasmissione” degli insegnamenti di Gesù che, ciascuno con informazioni diverse, portarono alla redazione di molte versioni evangeliche. Anche nei Vangeli (Lc. 1, 1-4) si trova testimonianza del fatto che molti avevano scritto e riportato fatti inerenti alla vita del maestro. Ogni gruppo doveva far necessariamente riferimento ad una comunità ben precisa, la cui area di appartenenza ideologica e religiosa avrebbe espresso un testo appartenente al pensiero dominante al suo interno. Per comprendere appieno quello che accadde ad Antiochia, dobbiamo però concentrarci sui gruppi gerosolimitani in cui, sempre all’interno dell’ebraismo, si consumò quello che dobbiamo intendere come un aspro dibattito; andando molto sinteticamente, dobbiamo pensare quindi a più gruppi di “ebrei credenti in Gesù” suddivisi negli ellenisti (At. 6,1; 9, 29), cioè giudei che vivevano alla greca, contrapposti ai credenti di lingua ebraica. Tuttavia è ormai appurato come non si debba intendere questi gruppi suddivisi in base all’appartenenza etnica quanto allo stile di vita in relazione ai costumi giudaici, una sorta di problema culturale[3].

In At. 6, 8 è proprio la comunità ebraica dei libertini (di credenti in Cristo?) che spinse il sinedrio a condannare Stefano a morte (At. 7, 54-60) proprio per le sue posizioni di superamento della Legge di Mosè. Tra gli ellenisti vi erano anche pagani/greci che si erano convertiti all’ebraismo (At. 2, 11). Dopo la morte di Stefano, la comunità degli ellenisti che sino a quel momento aveva concentrato la sua azione a Gerusalemme, fu costretta a rifugiarsi in Fenicia, Cipro e in particolare ad Antiochia per sfuggire alle persecuzioni. È proprio in questa comunità che si consumò per primo il superamento dell’idea che il messaggio di Gesù fosse rivolto ai soli ebrei: nella comunità antiochena gli ellenisti predicavano anche ai pagani e, per la prima volta, quel gruppo di credenti fu identificato come cristiani (At. 11, 26). Mentre quindi a Gerusalemme la comunità di credenti ebraici si costituiva come gruppo di giudeocristiani sotto la guida di Giacomo il Giusto, ad Antiochia il messaggio tramite Paolo arrivò al terzo elemento ovvero coloro οἱ φοβούμενοι τὸν Θεόν (coloro che erano timorati di Dio).
Questo quarto gruppo doveva essere composto da pagani simpatizzanti del giudaismo, che anche Giuseppe Flavio testimoniò partecipare attivamente alla vita religiosa ebraica con donazioni[4]. Ad Antiochia, come già accennato, questo gruppo poté entrare a partecipare alla vita della comunità cristiana antiochena e sdoganare la definitiva apertura dell’evangelizzazione verso i pagani, divenendo un centro molto importante nel cristianesimo nascente. In tal senso, nell’ottica di un superamento della posizione storiografica secondo cui fu Paolo il “secondo fondatore” del cristianesimo, dobbiamo pensare che questo fosse un dibattito tutto interno al giudaismo[5]. Il terreno dello scontro infatti era legato alla posizione degli ebrei di qualsiasi scuola di appartenenza, i quali adottarono nei confronti della Legge la distinzione rabbinica tra “comandamenti che governano le relazioni tra gli uomini (miswot ben adam le-adam) e comandamenti che presiedono le relazioni tra gli uomini e Dio (miswot ben adam le-Maqom)”[6]. In soldoni quindi, è possibile che Gesù avesse sostenuto delle interpretazioni della Legge (che definiremo esegeticamente allegoriche) come altri rabbini precedenti e posteriori alla sua predicazione.
Il dibattito sull’osservanza mosaica colpì il cristianesimo così come altri gruppi ebraici ma, in particolare per i seguaci di Gesù, la presenza di posizioni diverse sul modo di porsi nei confronti di essa sembrerebbe derivata dalla poca chiarezza del maestro su tali questioni e quindi si sia ripercossa sulla chiesa primitivo. L’apertura ai pagani dovette in qualche modo collegarsi a questa vicenda che, negli Atti, è motivata dall’entrata di Pietro nella casa di Cornelio, un ufficiale romano di stanza in Giudea (At. 10, 25-29). Sebbene il racconto degli Atti inserisca in anticipo rispetto a Paolo la posizione di Pietro sull’apertura ai pagani della predicazione del Vangelo, quello che accadde dopo indicherebbe come questa decisione fu sofferta e in qualche modo divisiva all’interno della comunità di credenti. In questo contesto multiforme e di profonda commistione culturale e religiosa dobbiamo collocare l’incidente di Antiochia, la cui collocazione cronologica rappresenta certamente una grossa difficoltà a causa delle incongruenze presenti tra il testo degli Atti e quello della Lettera ai Galati.

L’incidente di Antiochia e la Chiesa primitiva
Con “Incidente di Antiochia” si intende quel momento della storia del cristianesimo primitivo in cui, secondo la lettera ai Galati (2, 11-14), Paolo si scontrò con Pietro, giunto ad Antiochia, per la sua scelta di non sedersi a tavola con i cristiani che non circoncisi a causa del timore di “quelli di Giacomo” e dei “sostenitori della circoncisione”[7]. In correlazione a questo incidente dobbiamo considerare il capitolo 15 degli Atti in cui troviamo la descrizione del Concilio di Gerusalemme[8], cioè l’incontro tra le anime del movimento cristiano primitivo per dirimere la questione legata alla circoncisione. Ricordiamo solo in questa sede, molto brevemente, che per circoncisione si intende l’incisione del prepuzio che, secondo Gen, 17, 9-12, indicherebbe l’alleanza tra Abramo e Dio vincolando così tutti gli israeliti.
Alla luce di questo precetto tanto importante per l’ebraismo, possiamo capire come mai si generò in quest’occasione una violenta diatriba tra le prime comunità cristiane; Paolo e Barnaba si trovarono a discutere violentemente proprio sul tema dell’osservanza della legge mosaica, in particolare circa il loro presunto lassismo sull’obbligo di circoncidersi avversato da alcuni cristiani provenienti dalla Giudea (At. 15, 1-2). I due allora mossero da Antiochia verso Gerusalemme per incontrare i responsabili della comunità cristiana e sottoporre loro la questione in modo che, nella visione irenistica degli Atti, si ricomponesse questa frattura.

Le critiche a Paolo e Barnaba di coloro che erano giunti ad Antiochia da Gerusalemme furono ripetute anche dai credenti cristiani che provenivano dalla scuola farisaica (At. 15, 5) e, dopo aver ascoltato le parole concilianti di Pietro e quelle di Giacomo, quest’ultimo pose le condizioni secondo cui i gentili avrebbero potuto essere cristiani, cioè di “non mangiare la carne di animali sacrificati agli idoli, astenersi da disordini sessuali e non mangiare le carni di animali morti per soffocamento” (At. 15, 19-21). Nonostante Paolo ritenga sia necessario non turbare la fede di un fratello per questioni alimentari (Rm. 14, 19-20) dall’altro sembrò, nel prosieguo della sua azione missionaria, ritenerla una questione secondaria e irrilevante (1Cor. 8, 7-8). Scelti dunque dagli apostoli Giuda Barsabba e Sila per accompagnare Paolo e Barnaba ad Antiochia (con una lettera che stabiliva le decisioni emanate dal concilio), la pace sembrò ristabilita e il racconto degli Atti mostra una rinnovata armonia all’interno della comunità antiochena (At. 16, 22-33); tuttavia, quasi come indizio di una frattura non totalmente sanata, Paolo e Barnaba si separeranno irrimediabilmente, scontrandosi sulla scelta di chi portare con loro tra Giovanni Marco e Sila (At. 15, 36-37). Tornando però alla nostra diatriba, l’accordo di Gerusalemme non sembrò rinsaldare in alcun modo la differente percezione dell’aderenza alla legge mosaica tra Paolo e i giudeo-cristiani; questo appare evidente alla luce di quanto si può leggere nella lettera ai Galati in cui Paolo scrisse di aver ripreso pubblicamente Pietro.
Dal punto di vista cronologico ed evenemenziale il racconto di Galati e quello degli Atti divergono in tantissimi aspetti narrativi (che non prenderemmo tutti in esame in questa sede) ma nonostante alcuni ritengono potessero riferirsi al medesimo lo stesso incontro gerosolimitano[9], altri ipotizzano che Paolo riportasse alla comunità di Galazia quanto narrato in At. 9, 26[10]. Il dibattito storico sui viaggi di Paolo a Gerusalemme è intricatissimo e possiamo solo ipotizzare che le due fonti (Atti e Galati) siano indipendenti e forse in contrasto tra loro, anche per motivi dottrinali. Seguendo il dibattito storiografico, sintetizzeremo la tesi di Fitzmyer che appunto parla di nuclei narrativi indipendenti con Gal. 1, 18 a coincidere con At. 9,26 e Gal. 2, 1.5 a coincidere con At. 15, 3[11]. Che Paolo e Atti fossero in disaccordo sugli esiti dell’incontro potrebbe essere suggerito da una frase di Gal. 1, 20 in cui l’apostolo dei Gentili, dopo aver dichiarato che nel suo primo arrivo a Gerusalemme non conobbe alcun apostolo se non Pietro, sembra difendersi dall’accusa di dire falsità.
Un altro elemento non concorde è che in At. 9 Saulo/Paolo rimane a Gerusalemme dopo aver predicato a Damasco e non in Arabia come attesta in Galati. Sempre in Gal. 2 1-4, Paolo racconta la vicenda del Concilio di Gerusalemme alla sua maniera, incentrandola sul fatto (nuovo rispetto al racconto di Atti 15) che lui fu accompagnato nella città da Barnaba e Tito e che quest’ultimo non avrebbe avuto alcun obbligo da parte della comunità giudeo cristiana di circoncidersi. La circoncisione diventa per Paolo un modo per ricondurre i fratelli “sotto la schiavitù della legge di Mosè”[12] e sempre secondo il testo di Galati, nel concilio le decisioni non furono quelle di At. 15; i responsabili della comunità si limitarono a suddividere gli incarichi apostolici tra Paolo verso i Gentili e Pietro verso gli ebrei. Secondo Galati, Giacomo il Giusto non avrebbe parlato e avrebbe semplicemente raccomandato a Paolo di ricordarsi dei poveri della chiesa di Gerusalemme senza accennare alle prescrizioni alimentari richieste ai pagani per essere accettati nella comunità (Gal. 2, 9-10).
Questa narrazione paolina degli eventi gerosolimitani con la suddivisione degli ambiti è perlomeno strana se la confrontiamo con quanto attribuito a Pietro in At. 11, con l’apostolo che si trovò a difendersi davanti alla Chiesa di Gerusalemme per aver mangiato alla stessa tavola con pagani; dopo l’accorata difesa di Pietro, la comunità di credenti di origine ebraica accettò questo allargamento della parola ai Gentili (At. 11, 18). Fatta questa premessa, sarebbe dunque molto strano se Pietro, come riporta Gal. 2, 12, avesse timore di τινας ἀπὸ Ἰακώβου (quelli di Giacomo) e di τοὺς ἐκ περιτομῆς (i sostenitori della circoncisione)[13] avendo già chiarito la questione in precedenza.
La sua era, secondo Paolo, “ipocrisia” dovuta dal fatto che Pietro ritenesse giusto mangiare con i credenti di origine pagana ma aveva in questo frangente finto di separarsi dopo l’arrivo dei giudeo-cristiani. Paolo accomuna dunque giudeo cristiani ed ebrei osservanti come sostenitori della circoncisione e Pietro viene mostrato come timoroso da Paolo, che rimprovera aspramente sia Cefa che Barnaba (da cui sappiamo da Atti che, come detto sopra, si separò poco dopo il concilio di Gerusalemme). Con “Incidente di Antiochia” si intende dunque quello scontro tra Paolo da una parte e Pietro e Barnaba dall’altra, sanato secondo gli Atti dal Concilio di Gerusalemme, mentre Galati non ne fa menzione ma al contrario sembra porlo successivamente dal punto di vista cronologico[14]. Questa “ribellione” di Paolo nei confronti delle indicazioni di Giacomo sull’osservanza mosaica sembra attenuata da At. 21, 17-26 in cui egli si recò a Gerusalemme dal “fratello del Signore” che, rimproverandolo bonariamente, lo invitò a recarsi al Tempio per adempiere ad un voto in conformità con la legge mosaica[15]. Paolo, senza ribattere in alcun modo, ottemperò alle richieste di Giacomo, destinato poco dopo ad uscire di scena[16].

Riflessioni conclusive
Al netto dunque delle diverse descrizioni proposte da Atti e Galati, possiamo supporre che la questione fu tutt’altro che sanata e che, almeno fino alla maggior diffusione del cristianesimo nelle zone di influenza greco-romana, le due anime del cristianesimo primitivo rimasero separate. Nella nostra visione però, troviamo difficile concepire come la comunanza di tavola fosse un problema così importante per gli ebrei; per questo dobbiamo riferirci al capitolo 17 del Levitico, in cui sono contenute una serie di prescrizioni alimentari e sulla macellazione. Il dibattito sulla purità a tavola rientra in un secolare confronto tra rabbini sulle norme di sciacquatura delle stoviglie, della trasmissione stessa dello stato di impurità dovuta alla comunanza di tavola con persone con non ottemperavano a queste indicazioni. Il cibarsi di carne sacrificata agli idoli, non macellata secondo le regole bibliche e con stoviglie non lavate in maniera ottimale dal punto di vista della purità, metteva in discussione l’adesione dell’ebreo stesso alla vita religiosa e civile della comunità. Il timore di Pietro verso il giudizio della chiesa di Gerusalemme farebbe poi riferimento ad una preminenza della stessa comunità gerosolimitana sulle altre, con quest’ultima che riteneva che un allontanarsi dalla legge mosaica avrebbe messo in discussione lo status politico privilegiato di cui godevano gli ebrei della diaspora[17]. Vivere alla maniera degli ἐθνῶν (Gentili) poteva rappresentare un pericolo politico per tutta la comunità giudaica, un pericolo di apostasia che andava scongiurato a tutti i costi[18].

In conclusione, possiamo ritenere che quello che è ricordato come primo concilio della Chiesa cattolica emersero le diverse visioni e concezioni di gruppi e comunità che ancora non avevano concepito pienamente il distacco dalla matrice ebraica. Per quanto riguarda le posizioni in campo, fu certamente l’apertura paolina a sdoganare ai gentili la ricezione del messaggio di Gesù, tuttavia, come abbiamo cercato di dimostrare, questa apertura era già presente nell’ebraismo e già avvertita come un problema da normare e regolare. Questa multiformità di visioni della Chiesa primitiva verrà via via affievolita con la trasformazione da religione locale a universale.

Note al testo
[1] Si veda M. Pesce, Gesù e i suoi seguaci, Identità e differenze, Brescia 2020, p. 43.
[2] Cfr. G. Boccaccini, Il medio giudaismo. Per una storia del pensiero giudaico tra il terzo secolo a.e.v. e il secondo secolo e.v., Genova 1993, p. 35.
[3] Cfr. G. Jossa, Giudei o cristiani, Brescia 2004, pp. 41-42.
[4] Cfr. G. Flavio, Ant. 14, 1-10.
[5] Cfr. G. Jossa, Giudei o cristiani, Brescia 2004, pp. 129-129.
[6] Cfr. E. P. Sanders, Gesù e il giudaismo, Genova 1992, pp. 320-321.
[7] Cfr. Gal. 2, 12: πρὸ τοῦ γὰρ ἐλθεῖν τινας ἀπὸ Ἰακώβου μετὰ τῶν ἐθνῶν συνήσθιεν· ὅτε δὲ ἦλθον, ὑπέστελλεν καὶ ἀφώριζεν ἑαυτόν, φοβούμενος τοὺς ἐκ περιτομῆς. Secondo R. Reuter, Those of Circumcision, in <<Filologia Testamentaria>>, 22/2009, pp. 149-160, spec. p. 151 i sostenitori della circoncisione potrebbero essere identificati con il gruppo giudeo cristiano di Giacomo il Giusto oppure con degli ebrei non cristiani.
[8] Avvenuto, secondo alcuni, nel 48 come si evince da R. Penna, Paolo, da Tarso a Roma, il cammino di un grande innovatore, Bologna 2015, pp- 84-85. Anche in J.D.G. Dunn, Christianity in the Making, Beginning from Jerusalem, Vol. 2, Michigan 2009, pp. 445-446 viene attestato per la parte finale degli anni 40 del I secolo d.C.
[9] Cfr. R. Meynet, Lettera ai Galati, Bologna 2012, p. 42.
[10] Cfr. J. A. Fitzmyer, Gli Atti degli Apostoli, introduzione e commento. Brescia 1998, pp. 562-563
[11] Cfr. J. A. Fitzmyer, Gli Atti degli Apostoli, introduzione e commento. Brescia 1998, pp.448-449.
[12] Questa traduzione è proposta dalla Bibbia Interconfessionale italiana, ma non corrisponde al testo greco. Secondo quello i “falsi fratelli” (ψευδαδέλφους), probabilmente giudeo cristiani o farisei, volevano schiavizzare i nuovi credenti καταδουλώσουσιν). Il fatto che Tito non sia stato circonciso sembra scagionare i giudeocristiani e invece polemizzare con l’ipocrisia degli ebrei che, secondo Paolo, volevano inquinare la verità della Parola di Cristo.
[13] Rimando nuovamente a R. Reuter, Those of Circumcision, in <<Filologia Testamentaria>>, 22/2009, pp. 149-160, spec. p. 151.
[14] J.D.G. Dunn, Christianity in the Making, Beginning from Jerusalem, p. 470.
[15] Sul rapporto tra Giacomo e Paolo si veda R. Bauckham, James, Londra 1999, p. 131.
[16] Cfr. G. Flavio, XX 9, 200 che indica Anano come il mandante dell’uccisione del Giusto nel 62.
[17] Questa sorta di autoprotezione dei giudeo-cristiani verso le tradizioni è affermata anche da J.D.G. Dunn, Christianity in the Making, Beginning from Jerusalem, pp. 473-474.
[18] Cfr. J. D. G. Dunn, Echoes of Intra-Jewish Polemic in Paul’s Letter to the Galatians, in <<Journal of Biblical Literature>>, Vol. 112, No. 3, pp. 459-477, spec. p. 61. Il pericolo di apostasia imponeva di separarsi, come fatto dai Farisei (*pĕrûshîm) durante la rivolta contro gli Asmonei in contrapposizione all’influenza ellenistica subita dall’ebraismo durante il regno dei Seleucidi.