Per quanto riguarda la cosmesi, le testimoniante archeologiche ci aiutano a ricostruire le abitudini dell’Antichità.
La moda del tempo voleva che il viso fosse sbiancato con lo psimuthion, il bianco di biacca. Questo era un pigmento inorganico, contenente piombo, altamente tossico ma potente protettore solare. Veniva utilizzato perché coprente e uniformante: l’incarnato ceruleo era molto apprezzato, perché sinonimo di purezza. Utilizzata frantumata in polvere, veniva amalgamata con sostanze grasse e poi applicata sul volto.
Per quanto riguarda le sopracciglia, queste venivano ridisegnate con polveri scure, quali antimonio o fuliggine. Erano allungate verso l’interno, quasi unite al centro, ad esaltare la mediterraneità della donna.
Gli occhi venivano bordati di nero e sulle palpebre veniva steso del colore in polvere, spesso ottenuto dalla combustione di noccioli di dattero o foglie di rosa.
Le fonti riportano alcune indicazioni su come ottenere alcuni prodotti: Dioscoride Paganio ci testimonia che il nerofumo poteva essere amalgamato sia con olio animale o vegetale, sia con resine o bianco d’uovo.
Esisteva anche una sorta di mascara che definisse ed evidenziasse le ciglia: il nerofumo veniva mescolato alla chiara dell’uovo e poi applicato per mezzo di un pennello.
Sulla pelle di porcellana spiccava il rosso delle guance, ottenuto grazie a prodotti naturali quali more, fichi e barbabietola rossa. Il pigmento rossastro, una volta estratto, veniva mescolato a sostanze grasse. Questo tono di colore conferiva un’aria salubre alla donna.
Sulle labbra veniva steso il miltos, antenato del nostro rossetto, ottenuto tramite la radice dell’Anchusa Tinctoria. Questa contenente l’alcannina, principio colorante utilizzato anche come base di liquori e medicinali. I colori che più dettavano la moda erano sicuramente il rosso mattone e il ruggine, ma erano presenti anche sfumature di viola, ottenute dall’oricello.
L’utilizzo dei cosmetici era vietato durante i lutti ed alcune altre cerimonie sacre.