Nei centri urbani si assiste allo sviluppo artigiano di alto livello. La padronanza artigianale della lavorazione di materiali preziosi si può ravvisare in esemplari di armi da parata, strumenti musicali o nella gioielleria privata. La manodopera cittadina era impiegata anche nella molitura dei cereali, realizzata ancora con macine in pietra di tradizione neolitica.
Il tessile si presenta come altro settore trainante: muniti di telaio orizzontale, donne e fanciulli si dedicavano a filatura e tessitura. La regione era infatti ricca di lana che veniva lavorata e trasformata in stoffe, in quantità sufficienti per poterle anche destinare all’esportazione.
Vennero dunque stimolati i commerci a vasto raggio, sia per reperire materie prime di pregio, sia per rivendere i prodotti finiti. Le direttrici commerciali si estendono verso il Golfo Persico, l’altopiano iranico, nel sud-est anatolico e verso la Siria.
Simultaneamente allo sviluppo commerciale, si assiste alla stesura dei primi atti di compravendita, riguardanti soprattutto terreni e documentati negli archivi di Fara e risalgono al Proto-Dinastico IIIa.
L’atto si configura all’inizio secondo la forma cerimoniale: la proprietà a quel tempo era dimensione familiare più che personale, esistevano infatti vincoli contro l’alienazione dei beni al di fuori della famiglia, a meno che ogni membro non fosse consenziente e partecipe nel beneficio della vendita. La pluralità familiare riceveva quindi quote di doni proporzionali rispetto al grado di parentela con i venditori primari.
L’innovazione di questo periodo sta nell’unicità del compratore, figura tendente a scardinare la tradizionale proprietà familiare, e nella partecipazione di agrimensori e scribi, quali figure professionali atte a porre garanzie e ufficializzare la transazione.