Durante il dominio romano in Sicilia, si verificarono due grandi Guerre Servili, mosse appunto da parte degli schiavi dell’isola. Iniziarono entrambe da quella zona che, Diodoro, descrive nel suo mito di Dafne, figlia di Ermete e di una ninfa, che dimorava nei monti Erei, una regione che, essendo molto produttiva, concentrava un gran numero di schiavi che venivano impiegati nei campi. Al centro di questa regione la città di Enna, dove iniziò la prima delle due rivolte. Solitamente, gli schiavi che non volevano più condurre quel tipo di vita, tentavano la fuga in maniera autonoma, limitandosi al massimo a muoversi in piccoli gruppi, che si dedicavano al sabotaggio o a piccoli tumulti, raramente si creavano le condizioni per due grandi Guerre Servili, come invece avvenne.
Cause e origine delle Guerre Servili
I fattori storici che determinarono le Guerre Ervili furono essenzialmente due: l’enorme numero degli schiavi e l’eccessiva brutalità dei padroni. La concentrazione di schiavi in Sicilia, come dicevamo, era straordinaria, il loro trattamento era in certi casi mostruoso: venivano marchiati, incatenati, percossi, malnutriti e sottoposti a durissimo lavoro.
La vicenda ha inizio in realtà nell’Oriente ellenistico. La Grecia si era dovuta piegare alla forza di Roma, nel 146 i Romani rasero al suolo Corinto e in Asia minore, Siria ed Egitto, il sistema politico creato dai successori di Alessandro era in dissoluzione, tra lotte dinastiche, guerre civili, rivolte e anarchia politica, a beneficiare di queste situazioni furono i mercanti di schiavi, che comprarono prigionieri di guerra e vittime politiche, la maggior parte delle quali vennero vendute in Sicilia. Molti di questi schiavi erano uomini di cultura, alcuni anche di alto rango e quasi tutti di lingua greca, in grado di organizzare e guidare i più animosi, di concepire dei piani di guerra e di imporre misure di disciplina.
Vi erano mandriani e pastori, probabilmente i più maltratti di tutti, privi di istruzione e di un mestiere, i lavoratori agricoli, con molte gradazioni, da quelli alla catena agli amministratori, gli schiavi di città, artigiani e domestici, che sopperivano alla crescente domanda di una vita lussuosa e di consumi vistosi. Pare che gli addetti alla pastorizia e all’agricoltura fossero i più numerosi tra gli insorti. Le notizie sono molto frammentarie ma si è riusciti a ricostruire e ricucire brandelli di storia per capire il senso di questi grandi eventi.
L’anno di inizio pare sia probabilmente il 130 a.C., quando, gli schiavi del ricco Damofilo di Enna, decisero di uccidere il loro padrone, chiedendo consiglio ad uno schiavo di nome Euno, appartenente ad un altro padrone. Questi proveniva da Apamea, in Siria, ed aveva fama di essere un potente mago e profeta, si credeva fosse in grado di fare miracoli. Queste sue abilità, probabilmente di prestidigitazione, gli avevano fatto occupare, nella casa del suo padrone, la posizione di una specie di buffone di corte. Questi, asserendo di avere il favore degli dei, si mise alla testa di un gruppo di 400 schiavi e li guidò in città, dove, unitamente ad altri schiavi urbani, si diedero a saccheggi assassinii e violenze di massa.
Damofilo e la crudele moglie Magallide furono prelevati dalla loro villa di campagna e ricondotti in città, gli venne fatto una specie di processo sommario e Damofilo fu ucciso. Euno venne proclamato re con poteri assoluti, proclamò regina la schiava con cui conviveva, fece consegnare Magallide alle sue ex schiave che la torturarono e la gettarono poi dai bastioni, mentre la figlia della coppia di ricchi, che aveva sempre cercato di proteggere gli schiavi dalle brutalità dei genitori, venne accompagnata sana e salva a Catania. Nei confronti degli ex padroni Euno adottò un criterio molto semplice: quelli che erano impiegabili alla manifattura delle armi li mise a lavorare incatenati, gli altri furono giustiziati sommariamente.
Nel frattempo, era scoppiata un’altra rivolta nei pressi di Agrigento, guidata da un pastore di nome Cleone. Euno quindi, che aveva già radunato 6.000 uomini, che sarebbero divenuti presto 10.000, lo mandò a chiamare offrendogli di unirsi a lui come comandante in capo e questi accettò, accorrendo con 5000 uomini. Con questo enorme numero di combattenti Euno conquistò, oltre ad Enna, Morganina, Taormina e la maggior parte del territorio compreso fra le due città. Si dice che le sue forze, nel momento di massima espansione, raggiungessero le 200.000 unità.

Il retaggio ellenistico nella conduzione delle Guerre Servili
Euno ricalcò la monarchia seleucide, si fece chiamare Antioco, il nome più comune in quella dinastia, fece coniare ad Enna delle monete di rame con impressa la testa di Demetra, una spina di grano e la scritta abbreviata “re Antioco”, diede a Cleone il titolo di strategos. C’era un consiglio reale e addirittura le guardie del corpo: quando la rivolta fu domata, Euno fu trovato nascosto in una caverna ed aveva con sé il suo macellaio, il fornaio, l’attendente al bagno e il buffone di corte.
Questo ci fa capire che, gli schiavi, non erano alla ricerca di una rivoluzione sociale, non erano abolizionisti, è anche improbabile che avessero elaborato un programma. Essi erano decisi a liberarsi e a vendicarsi, sperando poi di vivere nell’unico tipo di mondo che conoscevano, le monarchie ellenistiche da cui provenivano, gli uomini di Euno avevano ricevuto ordine di non bruciare le fattorie, di non distruggere gli attrezzi agricoli e i raccolti e di non uccidere i lavoratori delle fattorie. I ribelli, inoltre, erano spinti alla battaglia confidando nell’appoggio degli dei garantito loro da Euno, accreditato come grande mago, la cura con cui si rivolgeva al santuario di Demetra e l’attività straordinaria dell’Etna in quegli anni, sono indizi del ruolo fondamentale svolto dalla religione e dagli dei. Euno poi si astenne dal fare l’ultimo passo nella sua imitazione della monarchia seleucide, non fece cioè nulla per far divenire il sovrano oggetto di culto.
Non è possibile attribuire a questi schiavi lo status di patrioti siciliani poichè combattevano contro il loro nemico, il ricco proprietario di schiavi. Roma, che nel frattempo era impegnata nella guerra numantina, per reprimere la rivolta spagnola per l’indipendenza, ebbe una reazione lenta, come scritto da Posidonio: è possibile che i romani non abbiano valutato appieno le proporzioni della rivolta siciliana.
Quando si prese coscienza della portata e della minaccia di queste Guerre Servili, fu inviato un esercito legionario abbastanza numeroso, gli schiavi non ebbero possibilità di scampo. Taormina ed Enna furono prese per tradimento, gli uomini catturati furono torturati e gettati dai bastioni, Euno riuscì per un po’ di tempo a sfuggire ma venne infine catturato e lasciato morire in prigione. Le punizioni non durarono però molto, c’era ancora bisogno di schiavi per riprendere la vita abituale.
Nel 131 Rupilio promulgò la sua lex per la provincia e i latifunda lavorati dagli schiavi tornarono presto al loro livello normale di produzione e profitto, con nuovi proprietari in sostituzione di quelli che avevano perso la vita durante la rivolta.
Guerre Servili: il secondo evento rivoltoso
La seconda rivolta ebbe inizio verso il 104 a.C., mentre Roma era minacciata da Cimbri e Teutoni a nord ed era in preda a disordini interni. Chiese allora aiuto a Nicomede III, re vassallo di Bitinia, in Asia Minore, il quale rifiutò dicendo di non avere giovani disponibili a causa dell’attività dei mercanti di schiavi protetti dai funzionari e dagli appaltatori delle tasse romani.
Il Senato allora decretò che venissero liberati tutti gli alleati ridotti in schiavitù. In Sicilia questo portò al caos: tale fu la folla di schiavi che si presentò al cospetto del governatore di Siracusa, per chiedere la libertà, che questi, dopo averla accordata a oltre 800 individui in pochi giorni, sospese le sedute e ordinò agli altri di tornare dai loro padroni. Questi, invece di obbedire, innalzarono lo stendardo della rivolta e si misero in marcia verso il Santuario dei Palici.
Dall’altro capo dell’isola si ebbero altri segnali, prima sotto forma di azioni indipendenti di piccole bande, poi con un movimento organizzato. Vennero alla ribalta due capi: nella zona tra Segesta e Lilibeo il cilicio Atenione, e nella zona di Alicie ed Eraclea un certo Salvio di origine incerta, forse italica il quale, forse, non era neppure uno schiavo. Salvio fu il più abile comandante militare di entrambe le rivolte: dapprima divenne re col nome greco di Trifone, in seguito, dopo aver offerto sacrifici ai Palici, si circondò di un’aurea romana, iniziò a portare la toga di porpora e si faceva accompagnare da littori con fasci.
Si fece costruire una reggia fortificata nella città di Triocala, località non ancora identificata che sembrerebbe essere nei pressi dell’attuale Caltabellotta, con mura cinte da fossati, un palazzo, una vasta agorà ed una sala del consiglio. Per un certo periodo lui e Atenione litigarono e quest’ultimo fu imprigionato ma, in seguito, combatterono insieme e quando Salvio fu ucciso in battaglia, Atenione gli succedette al trono, dando realtà alla profezia che egli stesso diceva di aver letto nelle stelle, che un giorno sarebbe divenuto re.
Nonostante fossero in numero minore rispetto alla prima rivolta, i ribelli questa volta erano meglio equipaggiati ed addestrati. I combattimenti si estesero in quasi tutta l’isola, tuttavia anche i romani erano ben preparati ed equipaggiati ed i ribelli non riuscirono a conquistare nessuna città tra quelle più importanti.
Durante l’assedio di Morgantina, i romani chiesero aiuto agli schiavi della città, promettendo loro la libertà, promessa che poi non venne mantenuta: si dice che i romani durante l’assedio abbiano preso prigioniere molte donne, questo dimostrerebbe che, alle rivolte, presero parte anche schiave. I romani erano preparati ma i loro comandanti non erano competenti. Salvio a Morgantina sconfisse un attacco portato dalle truppe romane e offrì di risparmiare i soldati che avessero deposto le armi e si fossero arresi. Accettarono in circa 4.000 ma è rimasto ignoto il loro destino, ne risultarono solo 600 uccisi in battaglia.
I romani riuscirono ad avere la meglio solo quando il comando delle truppe fu affidato a Manio Aquilio che tuttavia, dopo la vittoria, non fu ricompensato con un trionfo ma solo con un’ovazione, giacché sarebbe stato troppo un trionfo per una vittoria su degli schiavi. Circa 1.000 schiavi si arresero in cambio di aver risparmiata la vita ma vennero spediti a Roma e mandati a combattere contro le bestie feroci del circo. Racconta Diodoro che, i prigionieri, piuttosto che morire dilaniati dalle bestie, si uccidessero l’un l’altro davanti agli altari nel circo, prima ancora di essere aggrediti dalle belve.
Non c’è due senza tre? Spartaco e la Sicilia
Le due rivolte non provocarono danni vistosi all’economia dell’isola e, soprattutto, alla sua capacità produttiva, tant’è che ventisei anni dopo l’ultima rivolta, nel 73 a. C., quando Verre giunse sull’isola, la trovò pronta ad essere saccheggiata, tra le regioni che erano state centri di rivolta Enna e i monti Erei, Morgantina e alcune località nell’Ovest e nel Sud-Ovest, furono citati da Cicerone nella sua dettagliata accusa come luoghi ricchi, dove Verre aveva calcato di più la mano.
Verre si trovò a dover fronteggiare nuove pericolose tensioni tra gli schiavi e i loro padroni quando, nell’anno del suo primo mandato, il gladiatore Spartaco organizzò una rivolta a Capua nell’Italia meridionale, raccogliendo 90.000 schiavi. Non essendo riuscito a guidare i suoi uomini verso nord, Spartaco li concentrò in Lucania, minacciando di invadere la Sicilia. Racconta Plutarco nella sua opera Vita di Crasso, che egli riteneva fosse necessaria solo una piccola scintilla per riaccendere il fuoco siciliano.
I suoi piani però fallirono perché i pirati, sui quali contava, non gli fornirono le navi necessarie per attraversare lo stretto. Spartaco fu sconfitto nel 71 e con questo l’era delle rivolte di schiavi giunse al termine. Tuttavia gli schiavi siciliani e italici avrebbero presto avuto un’ultima opportunità di farsi valere, nel ruolo molto diverso e insolito di reclute, sulle navi durante la guerra civile, che portò alla caduta della Repubblica Romana. Ma questa è un’altra storia.
