Fra i frutti apprezzati e consumati dai Romani, non possiamo non citare il fico. Alimento calorico e ricco di vitamine, il fico era indicato nelle diete degli atleti e dei convalescenti, anche grazie alla sua digeribilità.
Fonti archeologiche e letterarie
Numerose sono le testimonianze archeologiche in merito: in un edificio di Ercolano ne sono stati ritrovati numerosi, conservati essiccati in contenitori fittili o di vetro.
Sempre intorno al Vesuvio, alcuni noti affreschi raffiguranti nature morte confermano la diffusione del fico, come ad esempio nella Villa di Cicerone a Pompei o nella Villa di Poppea ad Oplontis.

Non solo: il fico è protagonista anche della letteratura latina.
L’albero di fico era collegato alla fondazione di Roma: secondo il mito fondativo, difatti, la lupa allattò Romolo e Remo proprio sotto uno di questi alberi, in riva al Tevere. Ce ne lascia traccia Plinio il Vecchio, nella sua opera Naturalis Historia, di cui riportiamo un passaggio chiave:
“Nel foro stesso e nel comizio si venera l’albero di fico nato a Roma, sacro per le folgori lì sotterrate e ancora di più a causa de ricordo della pianta che, nutrice di Romolo e Remo, per prima protesse i fondatori dell’impero”
(Plinio – Naturalis Historia – Libro XV – 77)
Publio Ovidio Nasone ci testimonia che in occasione del capodanno era usanza consumare fichie e miele, come augurio per un dolce nuovo anno. Riportiamo di seguito il passo, contenuto nei Fasti, in cui dialoga con il dio Giano:
“Che cosa voglion dire i datteri e i fichi rugosi / e il puro miele offerto dentro candido vaso? / Si fa per buon augurio disse (Giano) perché nelle cose / passi il sapore; e l’anno, qual cominciò, sia dolce.”
(Ovidio – Fasti – Libro I)

Il fico è anche protagonista di alcuni modi di dire, tutt’ora utilizzati, che trovano radici nell’Antichità. “Non valere un fico secco” è attribuito ad un uomo che non vale niente: così si pensava di un soldato vecchio, incapace di difendere Roma. Publio Cornelio Tacito, negli Annales ci narra che i legionari venivano infatti pagati con un pugno di sale (da qui il nome salario) e una manciata di fichi secchi.
Stessa valenza, ma di origine diversa, è l’espressione “legno di fico” perché non bruciando bene, non riscalda e fa solo fumo. In realtà Marco Terenzio Varrone, nel suo De Re Rustica ci testimonia un altro uso dei rami di fico: veniva usato il latte dei rami di fico come coagulante nel processo di caseificazione, preferito al caglio di lepre o agnello.
L’aneddoto legato al fico che però è passato alla Storia è sicuramente un altro.
I fichi di Catone
Catone il Censore rende il fico protagonista della scelta del Senato per la fatidica guerra contro Cartagine: usò difatti questo frutto come strumento di persuasione. Si presentò al Senato con una cesta piena di questi dolcissimi frutti, distribuendoli fra i senatori, che restii non volevano dichiarare nuovamente guerra a Cartagine.
Prese la parola e interrogò i suoi colleghi sulla freschezza dei fichi: tutti ne convennero e fu questo che decise le sorti della città oltremare. I fichi erano infatti stati raccolti a Cartagine e ciò voleva dimostrare la pericolosa vicinanza del nemico. Questo bastò per volgere le sorti della Storia.
