Guardando il colore brillante e acceso dell’ambra, non ci deve stupire che il nome utilizzato dagli Antichi Greci per identificarla fosse èlectron, dal sostantivo elèctor (“sole splendente”) e che Plinio il Vecchio nella sua descrizione la definisse “secrezione dei raggi solari”:
“Nicias solis radiorum sucum intellegi voluit hoc”
“Nicia volle che questa fosse considerata secrezione dei raggi solari”
(Plinio – Naturalis Historia – XXXVII, 36)
Il termine compare già in Omero, quando Telemaco nota l’ambra sulle pareti del palazzo di Menelao (Od. IV, 73) e quando si fa riferimento ad una lussuosa collana d’oro e di ambra che viene portata come dono dalla Fenicia:
“Venne un uomo assai scaltro al palazzo del padre mio, portando una collana d’oro alternato con ambra”
(Omero – Odissea – XV, 459-460 – traduzione di M. Giammarco)
Lo ritroviamo anche in Euripide nel riferimento alla storia di Fetonte e delle Eliadi, legata alle origini mitiche dell’ambra:
“Entro lividi gorghi, là stillano raggi di lacrime / chiari d’ambra, le Eliadi: per la pietà / di Fetonte si struggono…”
(Euripide – Ippolito – 736-737 – traduzione di F.M. Pontani)
Il termine èlectron passerà poi ad indicare l’ambra in lingua latina nella trascrizione electrum e lo ritroviamo molto spesso in testi poetici e nei passi di Plinio il Vecchio in cui viene fatto riferimento alle fonti greche:
“Electrum appellatum, quoniam sol vocitatus sit Elector, plurimi poetae dixere primique, ut arbitror, Aeschylus, Philoxenus, Euripides, Nicander, Satyrus”
“Chiamato electrum, perché il Sole era stato chiamato abitualmente Elettro e moltissimi poeti lo riportarono e in primo luogo, come penso, Eschilo, Filosseno, Euripide, Nicandro, Satiro”
(Plinio – Naturalis Historia – XXXVII, 31)
Questo termine però non identificava solo l’ambra, ma anche una lega metallica, l’elettro (Virg. Eneide VIII, 402), che aveva un colore molto simile alla resina rossa, ma che era fatta per quattro quinti di oro e un quinto d’argento e veniva utilizzata per fabbricare sia monete che gioielli.
Oltre ad electrum era molto frequente anche il termine sucinum, derivato da succus (“succo”), probabilmente diretto riferimento alla resina che fuoriesce dall’albero, o meglio dal pino come ci riporta Plinio:
“Resina in pinis erumpit umoris abundantia”
“La resina sui pini esce fuori con abbondanza di liquido”
(Plinio – Naturalis Historia – XXXVII, 42)
Nella sua lunga descrizione Plinio distingue anche due tipi di ambra:
- chryselectrum,che aveva un colore più tendente all’oro e veniva utilizzata per le sue virtù terapeutiche e medicinali (“… legata al collo guarisce febbre e mali…” Nat Hist. XXXVII 51);
- sualiternicum, che aveva invece il classico colore rosso.
Nelle tribù germaniche il termine conosciuto era glaesum, dove la radice ghel- sta proprio ad indicare qualcosa di luccicante; dalla stessa radice deriva il termine inglese glass (vetro) che come l’ambra è trasparente e lucente.
Il nome con cui noi oggi conosciamo e identifichiamo l’ambra deriva dal termine arabo anbar (anb’r) riferito ad una sostanza molto diversa dalla resina rossa: si tratta in realtà di un’ambra grigia derivata dai pesci e utilizzata soprattutto per realizzare incensi e profumi.