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Non esiste un solo greco antico

Nel momento in cui ci si approccia allo studio dell’antichità ellenica un concetto dovrebbe essere da subito chiarito, sfatando credenze irreali che rischiano di rendere il percorso dell’apprendimento un terreno limaccioso all’interno del quale risulta estremamente difficoltoso avanzare. Uno degli aspetti principali con cui è buona cosa confrontarsi non appena si intraprende lo studio della grecità è di pertinenza squisitamente glottologica, e riguarda appunto la storia linguistica. Perché questa darà come esito una prima straniante verità, con cui tuttora in ambito italiano si fatica a prendere confidenza, ovvero: non esiste un greco antico.

Dialetti greci: questi sconosciuti!

Non esiste, usando terminologia corrente, uno standard. Almeno, non esiste prima del IV secolo a.C., momento in cui le conquiste alessandrine favoriranno l’espandersi di una lingua greca condivisa, precisamente l’attico di V secolo a.C., lingua illustre, la medesima che noi oggi, in un approccio scolastico alla materia, ci ritroviamo a studiare. Da notare è comunque quanto sia importante, d’altro canto, la scelta di una precisa norma da studiare all’interno dei percorsi liceali, considerando quanta sia la copia ed il prestigio di testi letterari redatti proprio in questa forma di greco. Nondimeno, è quanto mai necessario richiamarsi alla ricostruzione del quadro linguistico dell’antichità di modo da poter affrontare con coerenza e preparazione le sfide imposte dagli ambiti costitutivi della nostra conoscenza del passato, tra cui spiccano epigrafia e letteratura in prosa ed in versi.

Storia linguistica dei dialetti greci: l’impatto della scoperta del miceneo

I dialetti greci sono una diramazione della famiglia linguistica conosciuta come indoeuropeo, risultanti dall’incontro di popolazioni penetrate in successive ondate a partire dal II millennio a.C. circa nel continente greco con le realtà linguistiche preesistenti – presenti ancora nel lessico classico in terminologie di chiara matrice mediterranea per effetto di sostrato. La storia linguistica è anzitutto, per parafrasare uno dei concetti cardine della linguistica saussuriana, una storia di popoli, di parlanti, e proprio grazie agli incontri ed alle invasioni vengono operati anche mutamenti linguistici, e questo sarà più che mai evidente nella storia della Grecia arcaica. Proprio i movimenti di queste popolazioni causarono la caduta della fiorente ed affascinante civiltà minoica, avvenuta con ogni probabilità per mano della civiltà micenea. Uno dei fulcri dell’appassionato interesse dell’erudito ed archeologo dilettante Heinrich Schliemann (1822-1890), i Micenei costituiscono per noi una fondamentale tappa per la ricostruzione della Grecia prima del fenomeno  ancora impropriamente conosciuto come delle «età buie», che pure da alcuni punti di vista vediamo rischiarate, almeno dal punto di vista archeologico, grazie a scoperte avvenute nel secolo scorso.

La situazione linguistica greca del II millennio ha potuto essere significativamente ricostruita grazie ad un evento straordinario: la decifrazione delle tavolette rinvenute all’interno dei palazzi micenei e redatte nella cosiddetta Lineare B, avvenuta per opera di Michael Ventris e John Chadwick a partire dalla metà degli anni ’40 del Novecento e divulgata nella pubblicazione del 1953 Evidence for Greek Dialect in Mycenaean Archives, redatta nel «Journal of Hellenic Studies». Tale evento ebbe una portata straordinaria, in quanto venne riconosciuto che il miceneo era che una forma di dialetto greco, la più antica attestata, di molto precedente rispetto ai dialetti precedentemente conosciuti. L’inizio degli studi in tale ambito, denominato della micenologia, fu quanto diede impulso agli studi dialettologici greci contemporanei. Caratteristica delle tavolette in Lineare B fu il loro carattere amministrativo, dunque la finalità meramente pragmatica della scrittura, in più studi rimarcata come principale stimolo rispetto al suo utilizzo per fini letterari, che d’altro canto venivano perseguiti in forma eminentemente orale.

Lo studio concentrato sul dialetto miceneo ebbe risonanze straordinarie da molti punti di vista: esso diede risultati inattesi in rapporto con gruppi dialettali marginali ed isolati, nella fattispecie il gruppo arcadico-cipriota, costituito dal dialetto arcadico e dal dialetto cipriota, due entità isolate rispetto al quadro della grecità che, grazie in particolare agli studi di Anna Morpurgo-Davies (1937-2014), illustrissima filologa e linguista del Novecento, si sono identificati come idiomi affini al miceneo, facendo ipotizzare un’evoluzione di questo in seguito alla condizione di marginalità imposta alla civiltà miceneo/achea dall’avanzare delle altre popolazioni elleniche – in particolare, data l’ubicazione geografica dell’Arcadia all’interno del Peloponneso in una zona montuosa, si è supposto che l’isolamento del gruppo miceneo/acheo fosse stato causato dall’avanzare della popolazione dei Dori, all’interno della diatriba riguardo i movimenti più o meno ostili di questa stirpe. Inoltre, la scoperta di uno stadio tanto arcaico del greco ha permesso di rischiarare un quadro altrimenti opaco, vale a dire il contesto storico e linguistico alla base della composizione e circolazione dei poemi omerici: proprio la ricostruzione del sillabario della lineare B ha permesso un’efficace comparazione con alcune forme della lingua epica, oltre ad aver fornito preziosi indizi riguardo la struttura politica e sociale del tempo.

In corrispondenza del crollo della civiltà micenea, attorno alla data convenzionale del 1200 a.C., si è soliti porre una cesura storica, nota ancora oggi all’interno della manualistica con la controversa denominazione di Dark Ages, ovverosia «età buie». Tale cesura sarebbe contraddistinta da un diffuso impoverimento e da movimenti migratori su larga scala, oltre che dalla scomparsa della scrittura. Ho adoperato il condizionale in questa descrizione in quanto il quadro complessivo di questo intervallo temporale, che va dal 1200 al 900 a.C. circa, si presenta a noi oggi in forma alterata rispetto ai decenni precedenti, potendo giovarsi di importanti scoperte archeologiche e linguistiche. Anzitutto, non è veritiero affermare che la scrittura non sia più attestata. Nel 1979 l’archeologo cipriota Vassos Karageorghis (1929) rinvenne a Palaipaphos (Cipro) un ὀβελός in una tomba datata tra il 1050/950 a.C. L’oggetto parlante recava su di sé un’indicazione di proprietà scritta in sillabario cipriota, traslitterata in o-pe-le-ta-u, indi Ὀφέλταυ, «di Ofeltas». La testimonianza  linguistica fornitaci dal contesto cipriota ci spinge a rivalutare anche l’impatto che questo periodo di convenzionale involuzione ebbe su quest’isola: è certo che essa fosse in contatto con le popolazioni del Vicino Oriente antico e fosse nota per la produzione di artigianato particolarmente pregiato. Proprio oggetti provenienti da Cipro e dall’Oriente furono scoperti all’interno dell’Heroon di Lefkandi, in Eubea, portato alla luce nei primi anni Ottanta da un’equipe di archeologi britannici e greci. Si tratta di un grande ambiente absidato all’interno del quale sono stati trovati il corpo cremato di un guerriero, il corpo inumato di una donna (sulla cui morte si ebbe a discutere in quanto in un primo momento venne associata alla pratica indiana del sati) e tre scheletri di cavalli, con monili, gioielli e utensili. Il carattere della sepoltura e gli oggetti rinvenuti autorizzano a ricondurre il guerriero ad un rango particolarmente elevato della società, il quale dimostrerebbe come l’Eubea delle «età buie» ospitasse élites in grado di disporre di una florida rete commerciale in grado di importare oggetti di lusso da luoghi lontani.

Storia linguistica dei dialetti greci: il «greco di I millennio»

Il quadro linguistico della Grecia antica inizia per noi a rischiararsi a partire dal VIII secolo a.C., in piena età arcaica. La situazione reca con sé peculiarità che provvederanno a stabilizzarsi nei secoli successivi, che vedono luoghi geograficamente lontani condividere tratti linguistici comuni, evidentemente ceppi diversi dello stesso gruppo dialettale particolarmente affini eppure inevitabilmente connotati dagli atti di parole via via consolidatisi in tale contesto. Queste vicinanze linguistiche sono determinate dai movimenti umani risalenti proprio ai secoli delle «età buie», sorprendentemente fotografati anche dalle stesse fonti greche sotto forma di miti delle origini, i quali costituiscono un punto fondamentale nel percorso di ricerca dello studioso, che non può prescindere dal nucleo di verità storica racchiuso nelle parole che gli Antichi utilizzavano per descrivere sé stessi.

I Greci, che sappiamo essere particolarmente legati alle tradizioni proprie di ciascuna πόλις, si ritenevano difatti suddivisi in differenti stirpi, «γένη», di appartenenza, tutte risalenti ad un comune capostipite. Un ritratto particolarmente dettagliato di questa credenza è fornito dal racconto del geografo Strabone  (I a.C. – I d.C.) del mito del re Hellen, sovrano tessalo capostipite di tutti i Greci, padre di figli che emigreranno in differenti parti del mondo ellenico: Aiolos, che si confermerà in Tessaglia, Doros, che creerà uno stato nella regione del Parnaso, Xuthos, che, recatosi in Attica, sposerà la figlia del re Eretteo da cui nasceranno Ione e Acheo, che si stabilirà in Laconia.  (VIII, 7, 1). I nomi dei protagonisti di questo mito, già esposto nello pseudo-esiodeo Catalogo delle donne (fr. 9 M.-W.), richiamano in maniera lampante i nomi delle popolazioni greche conosciute: gli Eoli, i Dori, gli Ioni, gli Achei (nome che le fonti antiche conferivano agli abitanti di Sparta e del Peloponneso prima dell’arrivo dei Dori), e i luoghi citati rappresentano davvero sedi storiche in cui si attesta la presenza di dialetti i cui nomi sono mutuati proprio da queste genti. Tali popolazioni, in momenti imprecisati compresi tra il 1200 ed il 900 a.C. si mossero in successive ondate che contribuirono a creare il quadro linguistico che a noi si presenta in età arcaica, e che sarà di seguito sintetizzato.

  • Gli Eoli, da originari insediamenti in Tessaglia, si mossero dapprima in direzione Sud, verso la Beozia, indi ad Est, nell’Egeo, andando a stabilirsi nell’isola di Lesbo e nella costa anatolica antistante, la cosiddetta Eolide d’Asia. I dialetti del gruppo eolico sono difatti rappresentati prevalentemente dal tessalico, dal beotico, dal lesbio e dall’eolico d’Asia;
  • I Dori, da originarie sedi continentali situate nella zona Nord-occidentale e centrale della Grecia (Epiro, Etolia, Focide, Locride, Doride, isola di Cefallenia e Zacinto), mossero verso Sud, penetrando nel Peloponneso. I dialetti eponimi sono suddivisi in due gruppi, distinti da differenze linguistiche davvero minime e il cui sviluppo si ipotizza essere tardo: il gruppo di Nord-Ovest ed il gruppo dorico, composto dai dialetti megarese, corinzio, messenico, argolico, laconico. Indi, il dorico delle isole, parlato a Melo, Folegandro, Tera, Astipalea ed il dorico di Creta. Infine, il dorico d’Asia, parlato nelle isole di Cos e di Rodi e sulla costa antistante, a Cnido ed Alicarnasso;
  • Gli Ioni, che dall’Attica (sicuramente una delle sedi originarie di queste popolazioni, come anche testimoniato da Solone, VII-VI sec. a.C., fr. 4a W.) si insediarono nell’isola di Eubea, nelle Cicladi e in Asia Minore (isole di Samo e Chio e nel continente costituirono la Ionia d’Asia). I dialetti principali sono l’attico e lo ionico (da cui la denominazione di gruppo ionico-attico), suddiviso a sua volta in ionico insulare e ionico d’Asia.

Si aggiungano a questo elenco mutuato dal mito altri due gruppi, di cui uno già menzionato:

  • Il gruppo arcadico-cipriota, i cui dialetti sono l’arcadico, parlato nella regione dell’Arcadia, ed il cipriota, parlato nell’isola di Cipro e trascritto mediante l’uso di un suo proprio sillabario;
  • Il panfilio, parlato nella zona costiera tra Antalya e Side, in Asia Minore: un dialetto di difficile classificazione data la sua composizione linguistica particolarmente eterogenea.

Ciascun dialetto greco citato nel precedente elenco, che non ha alcuna pretesa di esaustività data la mole dell’argomento in questione, è caratterizzato da tratti peculiari e da isoglosse, termine tecnico della disciplina coniato dal glottologo italiano Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907), indicanti i tratti fonetici condivisi da idiomi di una determinata area geografica in confronto ad altri dialetti estranei a tali evoluzioni. Tuttavia, in quanto modificazioni del medesimo ramo linguistico, vi sono tratti condivisi su larga scala.

Particolarità dei singoli gruppi dialettali sono, ad esempio:

  • Per il gruppo eolico si ha l’esito in labiale delle labiovelari indoeuropee, quando negli altri gruppi il trattamento di queste ha esito dentale: *penkwe > πέμπε, ma altri gruppi dialettali *penkwe > πέντε. L’uscita in -εσσι dei dativi plurali della declinazione atematica, presenti anche in Omero. Il fenomeno della psilosi, ovvero l’assenza di aspirazione: ἴππος, non ἵππος. La ritrazione dell’accento, fenomeno noto come baritonesi. Inoltre, trattamento particolare dei nessi sibilante+nasale/liquida, i quali producono la geminazione della nasale o della labiale in luogo dell’allungamento di compenso: la luna di Saffo, *σελασνα > σελάννα, non σελήνη dello ionico-attico, in cui è evidente l’allungamento di α poi evolutosi in η;
  • Per il gruppo dorico si nota la mancata assibilazione di [ti], che porta alla conservazione dei nessi -τι e -ντι. La contrazione del nesso -αο in -ᾱ del genitivo singolare maschile della declinazione in ᾱ: tale fenomeno è noto come genitivo dorico. La desinenza in -μεν per la forma dell’infinito dei verbi atematici, mentre la desinenza -μες si è sviluppata per la prima persona plurale dell’indicativo presente;
  • Per il gruppo ionico-attico i tratti comuni tra i due principali dialetti sono davvero numerosi: assibilazione di [ti] che porta all’evoluzione -τι > -σι, la presenza dell’allungamento di compenso, la scomparsa del fonema *w, graficamente reso con il segno di digamma (ϝ), in ogni posizione. Presenza della metatesi di quantità. Tratto peculiare, che opera anche un discrimine tra i due principali dialetti di questo gruppo, è l’evoluzione di ᾱ in η. In ionico tale fenomeno ha sempre luogo, mentre nel dialetto attico tale evoluzione “arretra” se ᾱ è preceduto dai fonemi ε, ρ, ι, restando appunto α. La terminologia ufficiale tedesca definisce questo fenomeno «Attische Rückverwandlung», ovvero la «trasformazione all’indietro dell’Attico»;
  • Per il gruppo arcadico-cipriota la disamina è inevitabilmente parziale, in quanto molti fenomeni fonetici sono oscurati dall’utilizzo del sillabario cipriota. Tratti distintivi sono lo sviluppo [or]/[ro], [ol]/[lo] delle liquide sonanti – tratto condiviso anche dall’eolico che si ritiene vicino al miceneo -, la conservazione di νσ, la presenza di ϝ.

I Greci riuscivano a comprendersi tra di loro? Esempi di mutua incomprensione e arguta satira

Quest’ultimo cenno riguardo le peculiarità dei gruppi dialettali della Grecia arcaica e classica porta al sorgere spontaneo di una domanda quanto mai affascinante: se non è esistito uno standard condiviso prima della κοινὴ διάλεκτος del IV secolo a.C., i greci appartenenti a diversi gruppi dialettali riuscivano a comprendersi tra di loro? Naturalmente, parte della risposta che gli studiosi continuano a fornire è frutto di congetture contemporanee, basate prevalentemente sulla situazione epigrafica che alcune fondamentali iscrizioni ci restituiscono. La bibliografia qualitativamente più alta in Italia riporta, ad esempio, il caso dell’iscrizione del grande Codice di Gortina, risalente al 450 a.C. circa, rinvenuta dall’archeologo italiano Federico Halbherr (1857-1930) nel 1884 e riportata nelle Inscriptiones Creticae (IC IV 72) dalla nota epigrafista italiana Margherita Guarducci (1902-1999). Questa iscrizione di monumentale estensione permette di porre a confronto il dialetto dorico parlato a Creta con l’exemplum fornito dall’attico classico di V secolo a.C.: differenze lessicali, morfologiche e sintattiche, nonché alfabetiche e grafiche, possono confermarci la sostanziale incomprensibilità reciproca di alcuni dialetti.

D’altro canto, tratti linguistici comuni erano presenti, e questo deve aver non solo agevolato la comprensione in svariati casi, ma deve anche aver sviluppato la consapevolezza nelle diverse popolazioni dell’Ellade di condividere l’appartenenza ad una «lingua astratta comune» (A. Morpurgo-Davies), coscienza che ebbe effetti ideologici notevoli come testimonia l’eloquente passo in cui Erodoto riporta il dialogo tra gli Ateniesi e gli ambasciatori Spartani, timorosi di un accordo tra Atene e la potenza Persiana:

Anche se volessimo [scil. stringere un accordo con i Medi], molte e forti sono le ragioni che ci impediscono di farlo: la prima e la più grande, le statue e le dimore degli dèi bruciate e abbattute che dobbiamo assolutamente vendicare piuttosto che accordarci con chi ha compiuto tutto questo; quindi la grecità (τό Ἑλλενικόν), che ha lo stesso sangue e la stessa lingua (ὁμόγλωσσον), e i santuari comuni degli dèi, i sacrifici ed i costumi analoghi, che per gli Ateniesi sarebbe vergognoso tradire.
(Erodoto, Storie, VIII, 144)

La  «uguaglianza di lingua» descritta da Erodoto è chiaramente un’enfatizzazione retorica inserita in un discorso dall’ideologia molto marcata, ma è anche la spia che traduce quella vicinanza panellenica di cui si diceva all’inizio di questo articolo.

Un’altra testimonianza, particolarmente interessante e brillante, è rappresentata dal ritratto che il commediografo ateniese Aristofane fa del consesso panellenico di donne che conviene ad Atene, su invito dell’arguta Lististrata, per attuare una alquanto imprevedibile strategia al fine di indurre i mariti a cessare il conflitto che stava lacerando la grecità, ovvero la guerra del Peloponneso. Aristofane, nella sua Lisistrata, dona personalità e attrattività ad ogni donna caratterizzandola ulteriormente con elementi di realtà comico-linguistici efficaci e molto intelligenti. Difatti ogni donna è portatrice del suo bagaglio dialettale, e non è un caso che l’esuberante spartana Lampitò, guida del consesso delle lacedemoni, venga fatta parlare con una aspirazione molto accentuata: si tratta di uno dei particolari caratteristici del dialetto spartano, in cui ogni σ intervocalico si evolve in aspirata [h], e Aristofane se ne serve per mettere in scena un ritratto estremamente divertente, non differente peraltro dagli «iperdialettismi» che anche i nostri comici contemporanei creano!

La chiarezza che abbiamo tentato di fare, in forma particolarmente succinta data la sede, in merito al quadro linguistico e dialettale della Grecia antica è la premessa fondamentale non solo per un accostamento più consapevole e meno rigido alla varietas di testi letterari ed epigrafici che l’antichità ci ha consegnato, ma anche per un’immersione nell’ambito di quella quotidianità che poche volte gli studi classici scolastici lasciano trasparire, e che invece è necessaria per ricostruire il passato in tutta la sua cangiante essenza.

Bibliografia

📖 Y. Dohoux, Introduzione alla dialettologia greca antica, Bari, Levante, 1986
📖 O. Longo, Elementi di grammatica storica e dialettologia greca, Padova, CLEUP, 1989
📖 Storia delle lingue letterarie greche, a cura di A. C. Cassio, Firenze, Le Monnier Università, 2016
📖 La lingua dei Greci, a cura di A. Aloni, Roma, Carocci editore, 2021

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a cura di

Alessia Rovina

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