Cesare Brandi (1906-1988) è stato uno dei critici d’arte più influenti dal dopoguerra. Durante la sua vita di storico e critico d’arte ha avuto molteplici ruoli istituzionali, è stato un professore universitario, fondista culturale per il Corriere della Sera e saggista, ma cosa più interessante in questa sede: dal 1938 e per i 21 anni successivi è stato direttore del Regio Istituto Centrale del Restauro, oggi Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro. Proprio in tale periodo ha dato vita a dei saggi che sono stati, e sono tuttora, la base filosofica e teorica del restauro, non solo in Italia.
Secondo Cesare Brandi:
“(…)il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro.”
Tale definizione pone l’accento innanzitutto sul riconoscimento dell’opera d’arte in quanto tale: l’oggetto d’arte è di base solo un oggetto che diviene arte solamente quando viene sperimentato esteticamente. È quindi a seguito dell’avvenuto riconoscimento che sussiste il concetto (e le operazioni) squisitamente di restauro, e non di manutenzione, ristrutturazione o altro.
Il concetto di consistenza fisica richiama il primo assioma del restauro “si restaura solo la materia dell’opera d’arte”, per cui si interviene sull’aspetto materico in quanto luogo stesso della manifestazione dell’immagine. Perciò la comprensione e lo studio dei valori storici ed estetici dell’opera è invece oggetto degli archeologi o degli storici dell’arte. Brandi definisce la materia come ciò che serve all’epifania dell’immagine e la divide fra struttura (il supporto come una muratura o una tela) e aspetto (pellicola pittorica o, più in generale, la superficie).
Nella parte conclusiva della definizione Brandi definisce il punto di vista dell’istanza storica e di quello dell’istanza estetica, sebbene nelle sue trattazioni specifichi come questi due poli siano strettamente legati e sia necessario un loro dialogo in fase di restauro.
L’istanza estetica corrisponde all’aspetto esteriore dato dalla composizione artistica. Quindi ciò che ci appare di un’opera, le emozioni che ci suscita, il suo significato, etc.
Secondo l’istanza storica, invece, l’opera d’arte è fondamentalmente un documento, che porta con sé testimonianze dei tempi che ha attraversato. Brandi definisce tali testimonianze come: aggiunte, rifacimenti o mancanze.
Dal punto di vista della conservazione di un documento storico il mantenimento di un dato è sempre giustificato, va invece motivata una sua rimozione, che distrugge un’informazione e falsifica un dato.
Brandi riconosce quindi una duplice storicità: quella data dal momento della creazione dell’oggetto e quella accumulata negli anni che l’hanno portata fino al presente. Se ne deduce quindi che sarà necessario attuare delle scelte e delle metodologie che preservino entrambe le due concezioni di storicità. Ciò a cui si deve mirare è quindi il ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera d’arte, purché ciò sia possibile senza commettere un falso o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo. Dove per “unità potenziale” si intende l’intero che compone l’opera d’arte, che è diverso dalla somma delle sue parti, infatti, se in un’opera non vi è la totalità delle sue parti l’unità potenziale vi è comunque. Questo perché anche da una metà di una statua se ne può dedurre la parte mancante, un periodo storico, un’attribuzione artistica, etc.